BOTTA DI VANITA’ SULLA FINE DEL SECOLO AMERICANO

      MOLTI COLLEGHI (E QUALCHE TROMBONE) SI ESERCITANO, OGGI, SUL TEMA: E’ LA FINE DEL SECOLO AMERICANO? ALLORA RIPUBBLICO QUI UN PEZZO CHE HO SCRITTO CINQUE MESI FA PER “FAMIGLIA CRISTIANA”. BOTTA DI VANITA’, LO SO.

      E se non fosse una crisi come le altre? Se non fosse solo un “momentaccio” ma un passaggio epocale? Il sospetto è di trovarsi alla fine del cosiddetto “secolo americano”, il periodo in cui gli Usa, forti di un ineguagliabile dinamismo istituzionale, economico, tecnologico e militare, sono stati non solo lo “sceriffo del mondo” ma anche il supremo regolatore dei meccanismi vitali di un pianeta che, dalla Prima guerra mondiale alla presa di Baghdad, di darsi (o ricevere) una regolata ha spesso avuto bisogno.

      Chi ama senza riserve gli Stati Uniti ha reazioni viscerali quando sente parlare delle guerre americane. Chi li detesta… anche, ma quando sente parlare del ruolo di perno che l’America ha svolto per un secolo. Gli uni e gli altri farebbero bene a rassegnarsi perché il “bene” e il “male”, in questa storia drammatica e gloriosa, sono intrecciati. La stessa espressione “secolo americano” lo dimostra. Il primo a usarla, qualche mese prima dell’attacco giapponese a Pearl Harbour nel 1941, fu Henry Luce, direttore di Life; gli ultimi, nel 1997, gli intellettuali e i politici del “Manifesto per il Nuovo Secolo americano”, che hanno poi attorniato George Bush alla Casa Bianca. Ma tra convincere gli americani a combattere Hitler e spingerli a invadere l’Irak c’è una bella differenza, nelle premesse come nei risultati.

      Bush fa il suo mestiere e sparge presidenziale ottimismo. Ma i primi a non crederci sono gli americani. Conference Board, prestigioso istituto di ricerche di mercato e di servizi per il business, ha replicato tre settimane fa il suo celebre Consumer Confidence Index: solo il 14,9% dei cittadini Usa crede che il suo reddito sia destinato a crescere, solo l’8,1 che le condizioni generali saranno favorevoli agli affari, solo il 7,7 che nasceranno nuovi posti di lavoro nel prossimo futuro. Un picco di sfiducia, nel Paese che dell’ottimismo fa una filosofia di vita, pari a quello registrato nella Grande Depressione e nel 1973, l’anno dell’emergenza petrolifera mondiale.

      Questi dati riflettono il tradimento dell’economia, in particolare della finanza, un vero shock per il Paese che ha inventato tutti i nuovi prodotti finanziari e che per decenni ha mandato i suoi esperti a consigliare i Governi di mezzo mondo. Le grandi banche americane, adesso, sono costrette a rivolgersi alla Cina o ai Paesi arabi per avere denaro “fresco” e devono quindi subire l’offensiva dei “fondi sovrani”, organismi di Stato le cui operazioni finanziarie assumono inevitabilmente uno spessore anche politico. Nemesi drammatica per gli Usa, che consacrarono il “secolo americano” esigendo la restituzione dei prestiti di guerra dall’Inghilterra attraverso la banca J.P. Morgan, che agiva come un odierno fondo sovrano. Londra diede fondo alle riserve in oro e il dollaro, così “coperto”, divenne la valuta di riferimento per il commercio.
      Per esempio: gli Usa con il 5% della popolazione mondiale producono il 25% dei gas a effetto serra, e utilizzano 21 milioni di barili di petrolio al giorno su un consumo medio mondiale di 86 milioni di barili. Una tendenza autodistruttiva e indebitatoria, che potrà essere frenata solo con sforzi enormi. Sarebbero problemi meno urgenti, però, se non fossero comparsi protagonisti inattesi e aggressivi come la Cina del boom economico (che già oggi, per le esportazioni della Ue, vale quasi quanto gli Usa: 771 miliardi di euro contro 825), la Russia del gas, i Paesi del Golfo del petrolio e dell’insostituibile posizione strategica. Nazioni pronte a competere sui mercati e a difendere senza complessi la propria identità: il capitalismo confuciano dei cinesi, il nazionalismo dei russi, il radicalismo islamico di stampo saudita degli arabi. Forse anche per questo gli Usa sembrano impantanati in situazioni che non riescono a risolvere neppure militarmente: Irak, Afghanistan, Pakistan, Iran, Palestina, per non parlare delle polemiche con il Venezuela (che fornisce il 30% del petrolio che consumano) o con la Russia per lo scudo stellare. D’altra parte, per fare una battuta: può vincere una “potenza” i cui servizi segreti prendono abbagli come in Irak e il cui esercito compra da un ragazzo (Efraim Diveroli, 22 anni) munizioni vecchie di 40 anni per 300 milioni di dollari e le gira alle truppe alleate dell’Afghanistan? Può darsi, dunque, che tutti questi segnali siano solo l’annuncio di un mondo nuovo. Speriamo di non trovarci presto a rimpiangere quello vecchio.

Pubblicato su Famiglia Cristiana   http://www.famigliacristiana.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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