REPORTAGE ISRAELE: VIAGGIO A SDEROT, LA CITTA’ BERSAGLIO

      C’è il campo da calcio con l’erba verde verde fine fine, come in Inghilterra. C’è il signore col basco che ti fa il caffè all’italiana, come in Francia. Ci sono le ragazze con l’ombelico di fuori, come in Italia. E c’è il tipo cordiale fuori dal bar che ti saluta con una birra in mano perché vede che sei straniero, il Blockbuster, la piazzetta, il centro commerciale, il chiosco delle bibite e quello delle angurie… Quello che invece trovi solo qui, a Sderot, in Israele, è il cumulo di ferraglia accatastato dietro la stazione di polizia. Ferraglia che uccide: i resti degli oltre 6 mila missili Qassam (e negli ultimi tempi anche qualche Grad di fabbricazione russa, che ha gittata maggiore) che piombano sulla città dopo essere stati sparati dalla Striscia di Gaza.
 Il 18 di giugno il Governo di Israele e quello di Hamas, che amministra, appunto, la Striscia, hanno stipulato una tregua di 6 mesi che con qualche difficoltà (altri missili sono partiti, le cannonate israeliane non sono mancate) pare destinata a reggere. Un passo avanti, certo l’occasione per sondare gli umori di questi israeliani di primissima linea.
       Conclusione? Non facciamoci illusioni. «La tregua? Qui noi siamo tutti contrari, è stato un grave errore accettarla», dice Shalom Halevi. Dirigente del Comune, nato in Israele in una famiglia di origine yemenita, vive a Sderot da più di trent’anni ed è la memoria storica della città. A noi una simile posizione può sembrare assurda. Ma come, diremmo, finalmente una tregua e tu… Halevi la spiega così: «Noi sappiamo che in questo momento, proprio grazie alla tregua, loro si stanno riarmando. Il che vuol dire che domani pioveranno su di noi razzi più potenti. Perché una cosa è certa: il programma politico di Hamas indica ancora come obiettivo strategico la distruzione di Israele. Quindi, la tregua finirà e noi ci ritroveremo di fronte lo stesso nemico, ma più forte e preparato di prima. Ecco perché la tregua è stata un errore».
       Sospetto che Halevi osservi ora con una certa soddisfazione l’evoluzione della situazione politica. Ehud Olmert, contestato primo ministro, ha gettato la spugna. Con tutta probabilità gli succederà l’attuale ministro degli Esteri, Tsipi Livni, compagna di partito di Olmert, molto stimata anche fuori dal Paese ma considerata una “dura”. Se si andrà invece alle elezioni, il favorito è Benjamin Netanyahu, leader del Partito Likud, ancor più “duro”. In ogni caso, il viaggio a Sderot è molto istruttivo. Dalla periferia si guarda non “verso”, ma “dentro” la Striscia, tanto questa è vicina. «Sono 800 metri in linea d’aria», dice Halevi, «cioè niente. C’è un allarme, una sirena segnala l’arrivo del missile. Sa quanto tempo abbiamo per trovare riparo? Tra 15 e 17 secondi. Non tutte le case hanno il rifugio, quindi veda un po’ lei come ci tocca vivere. In certi giorni hanno sparato 20-25 Qassam, e a ogni missile ti tocca mollare tutto, scappare a nasconderti, verificare i danni e magari raccogliere i morti».
       Non c’è da stupirsi, dunque, se la popolazione negli ultimi anni è calata (oggi circa 20 mila abitanti, più di 3 mila se ne sono andati) e se il piccolo boom economico di Sderot, trainato da industrie di trasformazione dei prodotti agricoli e dall’elettronica, ha bruscamente rallentato la sua corsa. Lo Stato tenta di correre ai ripari: ai proprietari delle case colpite, per esempio, garantisce il risarcimento dei danni e delle perdite entro 6 mesi. Ad altro provvede la solidarietà ebraica internazionale: a Sderot, per esempio, la comunità di Milano ha finanziato la costruzione di un palazzetto dello sport. «Ma la gente», dice Halevi, «si sente insicura, soffre perché non riesce a proteggersi, né a proteggere i bambini e gli anziani».
       Com’è ovvio, da queste parti gli inviti alla pace, alla comprensione delle ragioni dell’altro, alla necessità di trovare prima o poi un accordo coi palestinesi, non cadono su terreno molto fertile. Un po’ perché di questi discorsi ne hanno sentiti fin troppi (da qui, tra l’altro, il rifiuto delle famiglie delle vittime a incontrare i giornalisti). Un po’ perché l’origine di Sderot (fondata nel 1951 come campo di transito) e il carattere della sua popolazione (quasi interamente formata da ebrei nordafricani e dell’Europa orientale, con i primi più “anziani” e i secondi ormai prevalenti) di per sé perpetuano un carattere “di frontiera”. E molto perché i ragionamenti teorici tendono a dissolversi quando la realtà si fa drammatica: 15 morti e quasi 600 feriti dal 2000 a oggi, centinaia di bambini in cura dallo psicologo per la paura e lo stress, l’ansia perenne di trovarsi in un mirino che inquadra l’obiettivo a caso, senza alcun prevedibile criterio.
        Il giro della città diventa una via crucis della memoria: qui un missile uccise nonno e nipotino sulla strada per l’asilo, là un altro ordigno stroncò la vita di due fratellini di 2 e 4 anni che giocavano in cortile, e così via. E non può non colpire l’inevitabile “blindatura” che avvolge gli asili e le scuole, inscatolati dentro muri e barriere che riescono magari ad annullare l’effetto esplosivo dei missili, ma non a impedire che le biglie di metallo in essi inseriti si disperdano all’intorno come pallottole micidiali.
       Shalom Halevi non ha dubbi: «Non dobbiamo cedere. Avete visto quel che è successo con Gaza, no? L’abbiamo restituita ai palestinesi e in cambio abbiamo avuto i missili. Che ci serva da lezione per non fare altre concessioni. Gli insediamenti in Galilea e Samaria devono essere difesi, perché altrimenti, domani, anche Gerusalemme e Tel Aviv saranno nella stessa situazione di Sderot. È questo che vuole il nostro Governo?».

Pubblicato su Famiglia Cristiana  n.32 del 10 agosto 2008   http://www.famigliacristiana.it

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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