COLPISCE IN CINA E DI COLPO AL QAEDA NON FA PIU’ PAURA

      L’attentato con cui due indipendentisti uiguri hanno ucciso 16 poliziotti nella città di Kashgar, capitale dello Xiniang (definizione amministrativa cinese per quello che gli uiguri chiamano Turkestan Orientale), è orrendo come tutti gli attentati: un camion dell’immondizia sfonda i cancelli della stazione di polizia, i poliziotti, ch’erano tra l’altro fuori servizio, sono colpiti con bombe a mano e coltelli. Un’azione di stile iracheno, si può dire. Tra l’altro gl uiguri sono musulmani è più che documentata l’infiltrazione di Al Qaeda tra gli autonomisti pià radicali, tanto che il Movimento islamico del Turkestan Orientale figura dal 2002 sulla lista dell’Onu proprio per i suoi legami con l’organizzazione terroristica di Osama bin Laden. Possiamo anche aggiungere che le azioni violente sono una caratteristica degli uiguri: una rivolta armata nel 1990 (bilancio: 50 morti dopo la repressione cinese), bombe contro obiettivi civili tra il 1992 e il 1993, altri attentati tra 1996 e 1997 fino alla cosiddetta “rivolta di Ghulja” quando centinaia di uiguri si scontrarono in campo aperto con la polizia cinese, bombe sugli autobus nel 1997 (9 morti), un tentativo di attentato contro un aereo civile diretto a Pechino un paio di mesi fa.
      Bombe, attentati, civili uccisi. Al Qaeda. Rivendicazioni etniche ed estremismo islamico. Eppure trapela dai giornali un’evidente simpatia per la causa degli uiguri, che sono uno dei 56 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti in Cina, e non si percepisce molta commozione per la sorte dei poliziotti cinesi e delle loro famiglie. Anche chi parla di “orrore” si premura poi di contornare i titoli con materiali che spiegano quanto gli uiguri siano stati e ancora siano oppressi da Pechino che dal 1949, anno di annessione (o di recupero? Vedremo fra poco) del Turkestan, conduce una campagna di assimilazione forzata: i cinesi di etnia han che ora vivono nello Xiniang sono circa 10 milioni (erano 300 mila nel 1949) su una popolazione totale di 20 milioni di persone, il che ha ridotto gli uiguri a essere minoranza in casa propria. In pratica saremmo di fronte a un altro caso Tibet, con la differenza che là sono buddisti e qui musulmani, là pregano e qui ogni tanto sparano.
       Con tutta la simpatia per i tibetani, per gli uiguri e per le loro aspirazioni, i due casi sono in realtà piuttosto diversi. Il Tibet può vantare una storia più o meno unitaria a partire dal Settimo secolo, grazie all’opera del re Songtsan Gampo, e fino al Dodicesimo secolo. In coincidenza, per fare un paragone, con l’epoca in cui l’islam nasceva e fioriva in Medio Oriente e in Europa. Nel dodicesimo secolo il Tibet fu incorporato nell’impero mongolo e nel Sedicesimo in quello cinese. Solo nel 1912 il Dalai Lama dichiarò unilateralmente l’indipendenza, conquistando un’autonomia de facto che durò fino al 1950, senza però che alcuno Stato riconoscesse ufficialmente l’indipendenza del Tibet. Poi arrivò l’esercito cinese a riportare il Tibet sotto il controllo di Pechino, con i risultati che sappiamo.
      Per gli uiguri e il Turkestan Orientale le cose sono più complicate. Qui hanno regnato per secoli, avvicendandosi, mongoli, turkmeni, cinesi e russi: si ha notizia di khanati uiguri ma soprattutto come vassalli e tributari dell’una o dell’altra potenza. Finito sotto il controllo cinese, l’indipendentismo uiguro ebbe il suo vero momento di gloria negli anni Trenta quando una ribellione, fomentata dall’Unione Sovietica, portò alla creazione della Prima Repubblica del Turkestan Orientale. Nel 1944, sempre con l’aiuto dei sovietici, venne fondata la Seconda Repubblica, stroncata nel 1949 dall’intervento cinese. In poche parole: il Turkestan ha certo vissuto per più tempo come regione interna alla Cina che come Stato autonomo, per altro mai riconosciuto ufficialmente da alcuno, nemmeno nel ventennio scarso delle due Repubbliche.
      Il fatto che la Cina eserciti nel Turkestan, come in Tibet, una repressione feroce non rende storicamente e politicamente più fondate le ambizioni di autonomia della regione, che non affondano nei secoli ma risalgono solo a metà del Novecento. L’ho già scritto altrove a proposito del Kosovo e lo ripeto per il Turkestan: se le loro ragioni bastano per giustificare uno Stato autonomo, anche le favole di Bossi sulla Padania e sui celti sono una buona ragione per la secessione del Nord dal resto d’Italia. Quello che invece non cessa di stupirmi è come certi spauracchi, tipo il terrorismo e  Al Qaeda, facciano molto meno paura quando si accaniscono su qualcuno che, come la Cina con gli uiguri, ci sta antipatico. Questo atteggiamento (vedi Cecenia) ci ha già aiutati a giocarci la Russia. Siamo sulla buona strada per fare altrettanto con la Cina.

Il sito degli indipendentisti uiguri  http://uygur.org/

    
 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top