L’OMBRA SINISTRA DELLA FORCA SULLE AMBIZIONI DI POTENZA DI TEHERAN

       Ventinove impiccagioni domenica scorsa in piena Teheran, nel carcere di Evin. Altre tre ieri, due a Ispahan e una a Zahedan. L’industria della morte di Stato in Iran non conosce soste e, anzi, si compiace dei propri record, li annuncia ai telegiornali della sera quando non usa le esecuzioni di massa come un’orrida versione contemporanea dei combattimenti circensi. Solo ieri l’Unione Europea ha battuto un colpo, duro ma comunque tardivo, per invitare il regime iraniano a sospendere le impiccagioni (la lapidazione è stata abolita nel 2003) e per condannare “l’esposizione delle esecuzioni a livello mediatico” come “un affronto alla dignità umana”. Per il resto è silenzio, anche perché nel mondo sono ancora molti (76) i Paesi che praticano la condanna a morte e tra questi, al quarto posto dopo Cina (5 mila esecuzioni nel 2007), Iran (355) e Arabia Saudita (166), ci sono purtroppo anche gli Stati Uniti (42), che alleati all’Europa avrebbero invece l’autorità politica e morale per fare della moratoria auspicata dall’Onu una realtà planetaria.
      Un silenzio che, per la sua compattezza, desta indignazione e stupore. Pare quasi che la grande attenzione mediatica rivolta negli ultimi tempi all’Iran per altre questioni, dalle ambizioni nucleari al sostegno ai movimenti guerriglieri di Hamas e Hezbollah, renda trascurabili altre fondamentali questioni. Qui non si tratta tanto di notare che da quando Mahmud Ahmadinejad è diventato presidente (agosto 2005) il ritmo delle esecuzioni si è intensificato, per quanto il dato statistico abbia una sua sinistra rilevanza. Il problema è di vedere quale progetto di società si nasconda all’ombra della forca.
       Said Mortasavi, presidente della Corte Suprema, nell’annunciare le 29 impiccagioni di domenica ha detto: “Così Teheran diventerà il posto meno sicuro al mondo per criminali, trafficanti di droga, agitatori, violatori dell’onore del popolo”. Dovrebbe allora chiedersi perché, stando almeno al ritmo delle condanne alla pena capitale, nel suo Paese e con il suo sistema giudiziario criminali, trafficanti, agitatori e violatori aumentano invece di diminuire. Per fare qualche paragone: l’Iran ha 65 milioni di abitanti, gli Usa 304 milioni, la Cina 1 miliardo e 300 milioni. 355 esecuzioni su 65 milioni di abitanti fa più o meno un condannato a morte ogni 183 mila abitanti: se gli Usa tenessero la stessa media avrebbero quasi 1.700 esecuzioni l’anno (invece di 42) e la Cina più di 7.100 (invece di 5 mila, che è già un’enormità).
       Certo, dar lavoro al boia non dev’essere difficile se meritevoli di morire sono considerati, come avviene in Iran, gli omosessuali e gli adulteri, le prostitute e i blasfemi, i bevitori di alcolici (ma solo alla terza volta) e persino gli appassionati di internet: è stati infatti da poco introdotto il reato di creazione di siti web che possano turbare la società. Anche loro, ovviamente, passibili di pena di morte. Quel che ne esce è il ritratto di una società oggi repressiva come pochissime altre e impegnata in una rincorsa senza sbocchi, crudelmente costretta ad automortificarsi nel timore di una contaminazione esterna o di un’ancor più grottesca rinuncia a un’immaginaria purezza d’origine.
      Difficile capire per quanto tempo ancora l’Iran possa rinunciare al grande ruolo regionale e internazionale, cui per storia e cultura avrebbe diritto, in nome di questa ossessiva fuga dalla realtà. Noi preferiamo qui ricordare il versetto 38 della medinese sura 5 (“Della mensa”) del Corano, laddove per l’omicidio si riconosce la legge del taglione (“Se uno è ucciso ingiustamente, noi diamo al suo erede facoltà di vendicarlo”), aggiungendo però: “Egli però non ecceda nell’uccidere e Dio certamente o aiuterà”. 

Pubblicato su Avvenire del 30 luglio 2008
   
   
 
 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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