SI FA PRESTO A DIRE “AIUTI”

     Da non perdere lo studio che Homi Karas e Abdul Malik hanno scritto per la Brookings Institution sui problemi della cooperazione allo sviluppo. Non tanto per i dati di fatto, che sono relativamente noti: gli obiettivi fissati dal Fondo Monetario Internazionale per il 2015 non saranno raggiunti; nel 2007, per la prima volta dopo 10 anni, l’aiuto ai Paesi in via di sviluppo è diminuito (103,7 miliardi di dollari) e, se i Paesi “ricchi” manterranno l’attuale trend nelle donazioni, nel 2010 mancheranno circa 40 miliardi di dollari.

     Sempre nel 2007, fanno notare i ricercatori, solo 48 miliardi di dollari (come si vede, meno della metà del totale) sono stati investiti in piani di sviluppo strutturali, a lungo termine: il resto è andato in emergenze di vario genere. Di quei 48 miliardi, inoltre, solo la metà ha raggiunto le popolazioni interessate, perché l’altra metà è andata “dispersa” (delicato eufemismo) lungo la strada. Ovvero: 24 miliardi di dollari per 1 miliardo di poveri sulla Terra fanno 24 dollari a testa l’anno. Altro che sviluppo…

     Tutto questo riguarda, come si vede, la generosità dei donatori e l’ingordigia e la disorganizzazione dei destinatari. Karas e Malik, però, fanno notare che il vero problema sta nella disorganizzazione dei donatori che, aggiunta a un certo tasso di ipocrisia, contribuisce a costruire un grande pasticcio mondiale. Per prima finisce sotto accusa la frammentazione degli aiuti: secondo la Banca Mondiale, il numero medio di donatori per Paese è passato dai 12 del 1960 ai 33 del 2005 (e in qualche Paese si arriva a 40), con una pletora di agenzie umanitarie che si fanno concorrenza e disperdono gli sforzi. Nel 1997 il finanziamento medio per progetto era di 2,5 milioni di dollari, nel 2004 solo di 1,5. In sintesi: troppi donatori (con relativi problemi di coordinamento e organizzazione) e donazioni troppo piccole, quindi incapaci di smuovere davvero la situazione.

     Altro aspetto: l’eccessivo peso dell’Assistenza Tecnica (che negli anni Settanta assorbiva il 21% delle donazioni e all’inizio del 2000 era già arrivata al 26%) a scapito dei veri Progetti di Sviluppo, ai quali era dedicato il 68% dei fondi negli anni Settanta e solo il 46% in questi ultimi anni. Solo i Progetti di Sviluppo possono realmente incidere, a medio o lungo termine, sulle condizioni di vita di centinaia di milioni di essere umani. Ma l’Assistenza Tecnica viene spesso utilizzata, oltre che per il naturale compito di assistere il personale di Paesi di solito arretrati (comunque, più arretrati dei Paesi donatori), anche per soddisfare le esigenze di bilancio delle agenzie umanitarie e, in molti casi, per distribuire fondi agli alleati politici di questo o quel Paese destinatario di aiuti economici. Faremmo bene a pensarci sù, soprattutto in tempi come questi, in cui il mercato dei prodotti agricoli e delle materie prime e la corsa dei relativi prezzi (da quello del riso a quello del petrolio) ci dimostrano ogni giorno, e in modo persino brutale, che cosa significhi la parola “globalizzazione”.

http://www.brookings.edu    Per lo studio di Homi Karas e Abdul Malik

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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