LIBANO, PRESIDENTE CERCASI

Da sei mesi il Libano, la più antica democrazia del Medio Oriente, è senza Presidente. Una crisi non nuova per il Paese e proprio per questo temibilissima, per almeno due ragioni. Quando ha fatto fatica a eleggere il Presidente, di solito il Libano si è ritrovato in guerra. In più, la mancata elezione del Presidente rischia di far saltare l’intero impianto istituzionale, perché la Costituzione prevede che il Presidente sia cristiano, il capo del Governo musulmano sunnita e  il Presidente del Parlamento musulmano sciita. Dopo gli Accordi di Ta’ef del 1989, inoltre, siglati proprio per mettere fine alla lunghissima guerra civile (1975-1990), i poteri del Presidente della Repubblica sono stati “limati” a favore di quelli del capo del Governo: la mancata nomina del Presidente, quindi, priva la comunità cristiana (oggi ridotta al 25% della popolazione ma ancora decisiva per le sorti del Paese) della sua massima rappresentanza politica e rischia di innescare rivalità incendiarie.     Le ragioni immediate dello stallo sono chiare: Hezbollah (sciita) e il Movimento Patriottico Libero del generale Michel Aoun (cristiano maronita) si sono ritirati su una specie di Aventino e la loro assnza fa mancare al Parlamento il numero legale per convalidare l’elezione. La Coalizione “14 marzo” (guidata da Saad Hariri, musulmano sunnita,  figlio dell’ex premier Rafik Hariri assassinato nel 2005) e i suoi alleati non vuole forzare la mano andando ugualmente al voto o mdificando la Costituzione per poter eleggere un Presidente.    Più importante di tutto questo, però, è lo sfondo. Da un lato Siria e Iran, dall’altro gli Usa e Israele. Il Libano è il campo in cui i primi cercano di allargarsi e i secondi di mantenere le posizioni. Con variabili imprevedibili, se non impazzite. Hezbollah, per esempio: è alleato dell’Iran e della Siria, ma gioca anche in proprio. Il fattore demografico (gli sciiti sono già la maggiore comunità del Paese) e la progressiva trasformazione da “movimento sciita” a “movimento nazionale” fanno sì che non sempre l’agenda di Hezbollah corrisponda a quella dei due Paesi sponsor.    Altrettanto si può dire per Israele. Caduto nella provocazione lanciata da Hezbollah (sei soldati uccisi e due rapiti in un’incursione in territorio israeliano) e lanciatosi nella guerra dell’estate 2006, lo Stato ebraico ha involontariamente lavorato per ridurre l’efficacia dell’azione di contenimento degli Usa. Il Libano perse oltre 1.000 civili e quasi tutte le infrastrutture degne di tal nome in due mesi di bombardamenti. Molti libanesi accusano Hezbollah ma nel Paese il rancore anti-israeliano è palpabile in tutti gli strati sociali. Non a caso nessun premier libanese, neppure il filo-americano Fouad Siniora, ha avuto il coraggio di disarmare Hezbollah come pure previsto da due diverse risoluzioni dell’Onu, la 1559 del 2004 e la 1701 del 2006.     Il disagio della Casa Bianca si nota anche da un episodio recente: Condoleezza Rice, segretario di Stato degli Usa, ha ricevuto ufficialmente a Washington Samir Geagea, capo delle Forze Libanesi, uno dei partiti più attivi della scena politica di Beirut. Non proprio un leader come gli altri: Geagea, infatti, fu condannato a morte per crimini commessi durante la guerra civile, per essere poi perdonato in virtù dell’amnistia promulgata nel 1992. Intendiamoci: Geagea non fu certo l’unico a macchiarsi di atrocità di ogni tipo e certo non fu più spietato e crudele del leader druso Walid Jumblatt o del generale cristiano Aoun. Resta il fatto che ancora una volta gli Usa nei confronti del terrorismo e dei terroristi si dimostrano schizzinosi a corrente molto alternata.    Nel frattempo, a parte forze lo sceicco Nasrallah e il ramo militare di Hezbollah, tutti i protagonisti sembrano scontenti. Iran e Siria possono fare molto, in Libano, ma non ciò che vorrebbero, ovvero mettere il Paese sotto tutela. Il ramo politico di Hezbollah non riesce ad accreditarsi come forza degna di governare. Israele ha fatto una guerra sbagliata e perdente, come attestato anche dal Rapporto Winograd. Gli altri Paesi arabi sono profondamente irritati con i pasticci di Siria e Iran. Gli Usa riempiono di armi (320 milioni di dollari di rifornimenti nel solo 2007) l’esercito libanese. E il Presidente comunque non si vede.  http://www.ynetnews.com/home/0.7340.L-4752.00.htmlhttp://www.lebaneseforces.com 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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