TURCHIA E KURDISTAN, QUESTA E’ GUERRA

   E’ a dir poco straordinaria la riluttanza che i media italiani mostrano nell’affrontare lo stato di guerra tra la Turchia e il Kurdistan iracheno. La stessa parola “guerra” viene raramente impiegata nei già rari articoli, anche se non ve ne sono altre plausibili, dopo che la Turchia ha fatto entrare 10 mila soldati in Kurdistan e mesi di scontri armati, attentati e bombardamenti che hanno provocato centinaia di vittime dall’una e dall’altra parte.

   Dal punto di vista politico il problema è straordinariamente complesso e ricco di sfumature pericolose: la Turchia vuole neutralizzare le attività, armate e non, del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), che ha santuari e campi d’addestramento appunto nel Kurdistan iracheno. Nello stesso tempo, lancia una duplice minaccia: ai curdi che vivono in Turchia (poco meno di un quinto dei 70 milioni di abitanti), ai quali continua a negare dignità politica e spazio culturale; e ai curdi del Kurdistan iracheno, affinché ripongano o almeno sospendano i sogni di trasformare la propria terra in Stato autonomo.

   E’ questa la ragione per cui si parla poco di questa guerra? Direi di no. Dei curdi di Turchia e dei loro diritti, da noi, non importa nulla a nessuno. Del premier turco Recep Erdogan, poi, si parla solo per banali questioni di velo islamico, mentre nulla si dice dell’alleanza di ferro che, proprio sul tema curdo, ha stretto con i generali che controllano le forze armate e che sono, storicamente, i custodi della laicità dello Stato turco. Della guerra tra Turchia e Kurdistan iracheno si parla poco e malvolentieri perché è l’ennesima conseguenza negativa della sballata impresa irachena, gestita dagli Usa con l’incredibile imperizia di cui ora siamo consapevoli. Turchia e Kurdistan, infatti, sono due alleati di ferro della Casa Bianca, alla fin fine costretti a combattersi proprio dalla lunga abitudine a sentirsi dare ragione dall’amico americano.

   Il Kurdistan iracheno, infatti, è sulla rampa di lancio per diventare un secondo Kosovo. La prospettiva, inutile negarlo, è quella dell’indipendenza, garantita dalla presenza militare Usa e dalla protezione aerea che le basi americane in Medio Oriente gli garantiscono fin dai tempi dell’embargo e della no fly zone decretati contro Saddam Hussein. Già oggi, comunque, il Kurdistan ha una propria forza armata (i peshmerga) che nega tra l’altro diritto di accesso al Kurdistan all’esercito dello Stato iracheno di cui pure il Kurdistan fa parte. Anche i generali turchi, però, sono stati viziati per decenni dalla Casa Bianca, che li ha sempre considerati un alleato essenziale nel confronto con il Patto di Varsavia prima, con l’espansionismo islamico in tempi più recenti. Ma in quella regione non c’è spazio per tutti o, almeno, non c’è spazio per i sogni di tutti. Uno Stato curdo autonomo farebbe comodo agli Stati Uniti esattamente come gli fa comodo il Kosovo, piantato in una posizione strategica fondamentale soprattutto per le rotte del gas e del petrolio che arrivano in Europa dall’Asia Centrale. In più, il Kurdistan andrebbe a disturbare due tradizionali avversari di Washington, cioè la Siria e l’Iran, che hanno corpose minoranze curde nelle rispettive popolazioni. Purtroppo disturba molto, e per le stesse ragioni, anche la Turchia. Insomma, è l’ennesimo pasticcio in salsa irachena.
   
  

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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