BIDEN IN MEDIO ORIENTE, PIANO CON GLI ENTUSIASMI

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L’insediamento del nuovo governo statunitense, con il duo formato da Joe Biden e Kamala Harris, è stato accolto da molti come l’inizio di un grande ed epocale cambiamento rispetto all’era Trump. Per quanto riguarda il Medio Oriente, purtroppo, si ha la sensazione che tale attesa sia una pura illusione. È vero, i nuovi responsabili della politica estera americana hanno sospeso le vendite di armamenti ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a suo tempo decise da Donald Trump. Bloccata, in particolare, la fornitura dei caccia F-35 agli Emirati, che l’ex presidente aveva autorizzato dopo che gli stessi Emirati aveva aderito ai cosiddetti Accordi di Abramo per la normalizzazione dei rapporti con Israele.

Si tratta, però, di una misura provvisoria, che i nuovi protagonisti della politica americana hanno preso soprattutto per cautelarsi rispetto a impegni presi da altri. Le forniture ripartiranno, con un’eccezione forse per la questione degli F-35. Non tanto per amor di pace ma perché la tradizionale politica americana per il Medio Oriente impone di garantire a Israele un vantaggio militare su tutti gli altri Paesi, di proteggere quel Qualitative Military Edge che gli F-35, finora venduti solo allo Stato ebraico, andrebbero a erodere.

Per il resto, c’è poco da sperare. Biden ha già fatto dire che l’ambasciata Usa in Israele resterà a Gerusalemme. Il che significa che gli Usa accettano, a cascata, anche il resto del cosiddetto «Piano di pace» elaborato da Trump: e cioè che gli insediamenti illegali di Israele devono essere considerati legali, che Gerusalemme Est non è più «territorio occupato» (come recita la giurisprudenza internazionale) ma territorio di Israele, e così pure il Golan siriano. Anche gli Accordi di Abramo stanno benissimo a Biden, che per ora non ha speso una sillaba sulla futura sorte dei palestinesi, a quegli Accordi strettamente collegata.

Un po’ più in là, in Siria: pochi giorni dopo l’elezione di Biden, i comandi Usa hanno rafforzato i contingenti dispiegati nell’area più ricca di petrolio del territorio siriano. Continuando così a occupare parte del territorio e delle risorse di un Paese sovrano.

Ancora un po’ più in là, in Arabia Saudita: si diceva delle forniture, ma intanto Frank McKenzie, il generale a quattro stelle che è l’attuale comandante del Comando centrale delle Forze Armate Usa, gira in lungo e in largo l’Arabia Saudita per trovare il luogo più adatto a una nuova base aerea americana, dichiaratamente studiata nell’ipotesi di una guerra aperta con l’Iran e di uno scontro per il controllo del Golfo Persico. Un’azione ben precisa mentre molto sbandierati ma indeterminati restano i propositi bideniani di rilanciare il trattato sul nucleare firmato da Barack Obama nel 2015 (con Joe Biden vice-presidente) e smantellato da Donald Trump nel 2018.

Insomma: per chi ha a cuore la pace in Medio Oriente, non è (ancora?) l’ora di entusiasmarsi.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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