IL GENERALE KIKOT E IL COMPLOTTO RUSSO

kikotI mezzi del gruppo di specialisti russi arrivati in Italia.

Ma in che mani è finito l’atlantismo? Che nervi di gelatina bisogna avere per scatenare una tempesta di parole sull’arrivo in Italia di 130 militari russi guidati dal generale Kikot mentre la Nato scorrazza per il continente con l’esercitazione Cold Response 2020 (in versione ridotta a causa del Coronavirus). E mentre scalda i motori per aprile, virus permettendo, Defender Europe, una simulazione di guerra (come l’altra diretta “contro” la Russia) che coinvolgerà quasi 40 mila soldati, con il più vasto dispiegamento di truppe americane (20 mila uomini) in Europa degli ultimi venticinque anni?

E invece no. Il complottismo atlantista si è scatenato con esiti esilaranti. Gli ufficiali russi studiano le mappe dell’Italia, vorranno organizzare un’invasione? I loro mezzi girano liberi per l’Italia (e invece sono scortati dai carabinieri)? I chimici russi si apprestano a spruzzare qua e là liquidi ignoti, saranno velenosi? E il malumore delle forze armate nostrane. Ultimo ma non ultimo, il grande classico: la congiura internazionale rosso-bruna. I russi manco erano arrivati e già era chiaro che qualunque cosa avessero fatto sarebbe stata, quando non maligna, inutile o dannosa. Quanto rumore per una piccola operazione di propaganda e buon vicinato. Destinata, semmai, a raccogliere informazioni su una pandemia che sta sconvolgendo il mondo.

Come tutti gli asini, però, anche questo casca. Perché i complottisti nostrani in genere della Russia non sanno nulla e nulla vogliono sapere. Fanno prima: copiano dalla stampa americana. In questo caso hanno letto i tweet di Olga Lautman, una giornalista specializzata in Russia e Ucraina, molto seguita sui social, che vanta come titolo la partecipazione alle ricerche per House of Trump, House of Putin, il libro con cui un altro giornalista americano, Craig Unger, ha cercato di dimostrare che Trump è asservito non tanto al Cremlino ma alla mafia russa. Chi l’ha letto sa di che sciocchezze stiamo parlando.

Bene. La Lautman ha scritto che il generale Sergej Kikot, l’ufficiale che guida il manipolo russo in Italia, è colui che “whitewashed Assad” sull’uso delle armi chimiche a Duma, in Siria, il 7 aprile del 2018. Cioè colui che avrebbe cercato di coprire i crimini di guerra del dittatore e  rifargli una verginità. Questo, in Italia, è diventato l’appiglio per alludere a una presunta attività in Siria di Kikot.

I problemi sono due. Il primo è che Kikot’ in Siria non è mai stato impiegato. Il suo lavoro di vice-comandante del Reparto di difesa radioattiva, chimica e biologica, come si vede oggi in Italia e come si è visto in passato su altri fronti come Afghanistan, India e in Guinea per ebola, è intervenire sui disastri già avvenuti, non produrli. Quello lo fanno semmai altri. Il secondo è che sulla questione di Duma aveva e ha ragione Kikot. Nel 2018, dopo la morte a Duma di una quarantina di persone, Bashar al-Assad fu subito accusato di aver usato (di nuovo) le armi chimiche. Così, Usa, Francia e Regno Unito (con l’Italia che collaborava) lanciarono una rappresaglia (senza che l’Onu l’avesse approvata) che a sua volta uccise decine di soldati e civili siriani.  Kikot, l’anno scorso, all’Aja, ha spiegato che le prove di laboratorio, effettuate sui reperti raccolti a Duma, escludevano un attacco chimico portato dall’aria, cosa che avrebbe potuto fare solo l’aviazione di Assad. E che alla stessa conclusione portava l’osservazione dei fusti di gas raccolti sul luogo, danneggiati in modo non compatibile con una caduta dall’alto. Insomma: una messa in scena a uso e consumo dei Governi e dei media occidentali.

Venendo da un militare russo, le conclusioni furono ignorate quando non sbeffeggiate. Poi, però, è spuntato il whistleblower. Nell’ottobre del 2019 la Courage Foundation, organizzazione non governativa animata da personalità di alto profilo come José Bustani (ex direttore generale dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) o l’accademico Richard Falk, già docente a Princeton, diffonde le conclusioni a cui era giunto Kim Henderson, uno degli specialisti che l’Opac aveva mandato a Duma. Queste: “Le dimensioni, le caratteristiche e l’aspetto dei cilindri e la scena circostante gli incidenti erano incoerenti con quanto ci si sarebbe aspettati nel caso in cui uno dei due cilindri fosse stato lanciato da un aereo (…) In sintesi, le osservazioni sulla scena dei due luoghi, insieme all’analisi successiva, suggeriscono che vi è una maggiore probabilità che entrambi i cilindri siano stati posizionati manualmente in queste due posizioni anziché essere stati lanciati dagli aerei”. Pari pari quanto sosteneva Kikot.

Di più. Henderson aveva inviato le proprie conclusioni ai superiori dell’Opac già in febbraio, esprimendo forti dubbi sulle procedure con cui l’Organizzazione aveva lavorato. Il tutto era stato insabbiato. E non a caso, a due anni dall’episodio di Duma, l’Opac non ha redatto il proprio rapporto finale. Né pare avere intenzione di farlo. Ecco un po’ di cose che i nostri complottisti, pronti a spacciarsi come paladini della verità, non raccontano.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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