ERDOGAN E IL RICATTO DI IDLIB

IdlibSoldati turchi nella provincia di Idlib.

Il momento di uno scontro militare vero tra Turchia e Siria, tra gli eserciti di Recep Tayyip Erdogan e di Bashar al-Assad, sembra di ora in ora più vicino. E la mediazione della Russia, alleata di Assad ma in ottimi rapporti con Erdogan, sembra avere poco effetto. Assad vuole riconquistare l’intero territorio e la provincia di Idlib, al confine con la Turchia, è un crocevia delle linee di comunicazione tra i principali centri del Paese. Erdogan, che ha coltivato il proposito di sbarazzarsi di Assad e annettere la parte Nord della Siria, controllando ancor più di quanto già faccia le sorgenti che alimentano il Tigri e l’Eufrate, gioca la carta umanitaria. A Idlib ci sono tre milioni di persone che, al procedere dell’avanzata siriana da Sud, si spostano verso Nord, con l’evidente intento di sfuggire alla guerra e mettersi al sicuro in Turchia.

Per quanto riguarda la Turchia, però, c’è un elemento che viene di solito trascurato. A Idlib resistono circa 15 mila guerriglieri di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), ovvero l’ultima versione di Al Qaeda, supportati da una galassia di gruppi armati che comprendono ceceni, miliziani uiguri cinesi e i resti dell’Esercito libero siriano. Tutti sono stati, o sono, al soldo della Turchia che li ha aiutati nei modi più diversi. Con il denaro e con le armi, ovvio. Ma anche comprando il petrolio e i reperti archeologici che questi arraffavano in Siria. E soprattutto consentendo loro di usare la Turchia come una comoda retrovia ove installare uffici, basi, conti correnti, reti di trafficanti di ogni genere e specie.

Tale presenza, in questi nove anni di guerra, si è radicata oltre misura. E quella che nei primi tempi era una concessione, per le autorità turche è ora diventata una necessità. Il ministero del Tesoro americano, per esempio, non fa che sollecitare i turchi a prendere misure più serie contro il riciclaggio di denaro. Gli Usa lo fanno perché attraverso la Turchia anche il Venezuela di Nicolás Maduro e l’Iran di Alì Khamenei sono riusciti a bypassare le sanzioni. Ma nel frattempo hanno dovuto prendere atto che nel 2017 sono passate per i tribunali turchi più di 6 mila persone accusate di riciclaggio e che solo 117 sono state condannate.

Per la Turchia, quella che era un’alleanza, un patto d’interessi, è diventata un obbligo. Deve difendere i terroristi assediati a Idlib per non subire ritorsioni in casa propria. Erdogan ha pensato di risolvere almeno in parte il problema spedendo un po’ di quei miliziani in Libia, a dar man forte al governo di Al-Sarraj, ormai legato mani e piedi alla Turchia. Non osa però abbandonare gli altri. I gruppi islamisti non sono teneri con chi li scontenta o, peggio, “tradisce” la causa.

Erdogan lo sa bene. Nel luglio del 2015 un gruppo turco legato all’Isis mandò un kamikaze a farsi esplodere a Suruc, a una decina di chilometri da Kobane, provocando 34 morti. E il primo gennaio del 2017 un attentatore armato entrò in una discoteca di Istanbul, uccidendo 39 persone in una strage poi rivendicata dall’Isis. Sono solo i due maggiori esempi. Altri ce ne sono stati. E altri ne potrebbero arrivare se Erdogan decidesse di mollare i terroristi di Idlib al loro destino.

Pubblicato in Babylon, il blog di Terrasanta.net

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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