La lotta di potere che infuria nelle segrete stanze della monarchia che regge l’Arabia Sauita, e che ha portato all’improvvisa “promozione” a primo erede al trono di Mohammed bin Salman, il trentunenne figlio dell’attuale re Salman, lascia balenare squarci degni non solo delle migliori congiure mediorientali ma anche delle più fosche pagine della storia sovietica.
L’ascesa di Mohammed bin Salman, che è anche vice-primo ministro, ministro della Difesa, capo della Corte reale e presidente del Consiglio per gli affari economici e di sviluppo, è avvenuta pochi mesi fa a spese del principe Mohammed bin Nayef, che era il primo nella linea di successione a re Salman e aveva (a parte il ministero: il suo era quello dell’Interno) tutte le cariche poi passate al giovane che gli ha fatto le scarpe.
Col tempo sono emersi molti particolari piuttosto allucinanti sul siluramento del principe più anziano. A Mohammed bin Nayef di colpo sono state tolte le guardie del corpo, i segretari e persino i telefoni cellulari ed è stato messo agli arresti domiciliari. Come se non bastasse, gli è stato negata l’autorizzazione a partecipare ai funerali di Abdulrahman bin Abdulaziz, fratello di re Salman, e gli è stato imposto di farsi filmare e fotografare mentre si inginocchiava a baciare la mano al giovane Mohammed bin Salman (finora noto soprattutto per un piano di riforma economica che non ha convinto nessuno) come giuramenti di fedeltà.
Sono sistemi che la corte dei Saud conosce bene. Il precedente re, Abdullah, fece di tutto per impedire all’attuale re, Salman, allora principe ereditario, di succedergli sul trono. Abdullah preferiva il principe Meteb e fece partire una campagna che descriveva Salman come affetto da demenza. La disputa, per fortuna di Salman, fu risolta dalla morte di Abdullah. Non meno feroce era stata, negli anni Sessanta del Novecento, la lotta per il potere tra re Saud e il principe ereditario Faisal, che a un certo punto fece circondare il palazzo reale dalla Guardia Nazionale.
Adesso, per liquidare definitivamente la pratica in favore del giovane Mohammed bin Salman, nel regno è partita una campagna ben orchestrata che descrive l’ex erede al trono Mohammed bin Nayef come dipendente dalla morfina, quindi inaffidabile come re. Così ben orchestrata, la campagna, che le voci si sono subito trasformate in clamorosi articoli sul Wall Street Journal e sul New York Times, testate da sempre sensibili agli avvenimenti (e agli interessi) sauditi.
Però… al recente G20 in Germania, palcoscenico ideale per i potenti della terra, né re Salman né l’erede Mohammed bin Salman si sono fatti vedere. Che cosa li ha trattenuti in patria se non la sensazione che, pur avendo liquidato Mohammed bin Nayef, non tutti i dissensi sono stati messi a tacere? Almeno due esponenti della casa reale si sono schierati contro l’estromissione del principe più anziano. Uno è il principe Ahmad Abdulaziz, fratello minore del sovrano. L’altro è il principe Meteb bin Abdullah, figlio del defunto re Abdullah, che ha mantenuto la carica di ministro di Stato ed è il capo della Guardia nazionale.
Anche Meteb avrebbe dovuto finire in un angolo ed è noto che il giovane leone Mohammed bin Salman non si fida né della Guardia nazionale, fedele appunto a Meteb, né delle forze del ministero dell’Interno, ancora legate a Mohammed bin Nayef. Lui vorrebbe allargare la Guardia reale e irrobustirla con l’inserimento di istruttori e contractors reclutati tra ex membri delle forze speciali statunitensi. Ma Meteb è difficile da scalzare e l’aspirante re deve andare coi piedi di piombo. E in qualche caso, come al G20 in Germania, non andare proprio, per scansare gli effetti del vecchio proverbio: chi va all’osto…