SOLITA STRATEGIA IN LIBIA: DIVIDE, IMPERA, SPARA

strategiaResiduati bellici in Libia.

Niente da fare, non se ne esce. La strategia è sempre la stessa. Prendi uno Stato che ti interessa, diciamo la Libia, lo scardini a suon di bombe, lasci che i pezzi vadano alla deriva, poi decreti: non c’è nulla da fare, bisogna spezzettarlo. E prepari un’altra guerra o un’occupazione militare. Strategia illuminata, come dimostrano le condizioni del Medio Oriente in genere e, in particolare, dei Paesi come l’Iraq dove essa è stata applicata. Ma tant’è, si continua imperterrriti e indisturbati.

Il caso della Libia, se tale strategia fosse davvero applicata, potrebbe persino diventare più inquietante. Intanto, perché c’è il solito buo nero politico da rimontare. Una volta fatto cadere e ammazzare Gheddafi, ci siamo precipitati a riconoscere il Governo di Tobruk, perché più “laico” e soprattutto perché dotato di un’armata, quella guidata dal generale Khalifa Belqasim Haftar che è un vecchio amico degli Usa: già arruolato negli anni Ottanta ne tentativo di rovesciare il regime di Gheddafi, Haftar fu poi riscattato, portato in America, dotato di cittadinanza americana e nel 2011 riportato in Libia per dare un leader all’insurrezione contro Gheddafi. Nel 2015 è stato nominato ministro della Difesa e capo di Stato maggiore appunto dal Governo di Tobruk.

Peccato che ora siano proprio il “nostro” Governo, quello di Tobruk, e il “nostro” generale, Haftar appunto, a silurare il piano Onu per un Governo di unità nazionale, la cui richiesta (e questa è la posizione italiana) potrebbe poi aprire le porte a un intervento sotto l’egida delle Nazioni Unite. Mentre il Governo islamista (più o meno moderato) di Tripoli, che abbiamo fin qui osteggiato, sarebbe d’accordo.

Strategia e realtà in Libia

Bel colpo, grande strategia. Anche perché mentre i mediatori trattatano e l’Italia insiste, altri Paesi lavorano per mandare tutto a monte e arrivare alla famosa partizione del Paese: Tripolitania, Cireneaica e Fezzan. La Francia ha già mandato reparti speciali dell’esercito e dei servizi segreti a dare una mano alle truppe di Haftar, ora impegnate a scontrarsi con le milizie Isis attestate nella regione di Sirte. Le ragioni di Hollande sono chiare e sono le stesse per cui Sarkozy scatenò la guerra nel 2011: instaurare un protettorato sulla Tripolitania e garantirsi il controllo dei giacimenti off shore di gas e dei gasdotti. La Gran Bretagna, a sua volta, mira alla Cirenaica con i suoi pozzi di petrolio e il lungo confine con l’Egitto.

Ai di là dei politici, che perseguono lo spezzatino della Libia ma non lo dicono, si leva puntualmente il coro di coloro che approvano questa strategia, anzi la ritengono saggia. Di solito citano il caso dei Balcani come esempio riuscito di partizione lungo linee etniche. Riuscito? Oggi nei Balcani ci sono 13 mila soldati Onu (di cui 579 italiani), in Kosovo sono di stanza 16 mila soldati (di 34 Paesi) della missione Kfor (Kosovo Force) della Nato e, sempre in Kosovo, è stata costruita la base di Camp Bondsteel, uno delle più grandi tra quelle dell’esercito americano all’estero, capace di ospitare fino a 7 mila soldati. Che cosa pensate che succederebbe se questi presidi militari venissero ritirati? Credete che la strategia dello spezzatino resisterebbe? E poi perché i teorici di queste spartizioni non citano mai il caso della divisione tra India e Pakistan nel 1947, con un milione di morti subito, 70 anni di tensioni e di scontri in seguito e due apparati nucleari a fronteggiarsi?

Inoltre: davvero pensiamo di mandare, domani, decine di migliaia di soldati delle più varie provenienze a controllare che lo spezzatino in Libia stia in piedi? Per quanti anni li terremo laggiù? Siamo convinti che le tribù resteranno tranquille? Per non parlare dei movimenti terroristici di tutta l’Africa? È questa la strategia? E quanti morti nostri e loro abbiamo messo in bilancio?

Tutte queste teorie spartitorie hanno in realtà un solo obiettivo: rendere più facile il ritorno alla politica dei protettorati e dei mandati vecchia di un secolo. Ma nel frattempo è passato appunto un secolo e la strategia non funziona più. Riusciamo a rendere obsoleta la vecchia teoria di Marx: la storia è dramma, quando si ripete diventa farsa. Non la ripetiamo, rendendola però ancor più drammatica.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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