ENRICO LETTA: MARE NOSTRUM, L’ESEMPIO

mare nostrum

“Con il tempo molte cose sono cambiate ma non è una consolazione, perché nel intanto sono state perse tante vite che potevano essere salvate”. Enrico Letta, che pochi mesi fa si è dimesso dalle funzioni di parlamentare per andare a dirigere la Scuola di affari internazionali dell’Istituto di Studi Politici di Parigi, è stato primo ministro per meno di un anno, dall’aprile 2013 al febbraio 2014. Ma in quel periodo, tra le altre, prese una decisione che, alla luce di quanto poi è successo e continua a succedere, può dirsi storica: il varo della Missione Mare Nostrum, l’azione di soccorso dei migranti in mare, la più vasta operazione umanitaria di cui l’Italia sia stata protagonista.

Ora anche la Germania, l’Austria e altri Paesi aprono i confini e parlano di accoglienza. Ma nell’ottobre del 2013, quando Mare Nostrum partì in seguito alla morte di 366 migranti a poche miglia da Lampedusa, l’Italia era sola. E sola è rimasta a lungo, su questo fronte. Mentre all’interno molti sparavano sulla Missione e, anzi, la consideravano causa dell’arrivo dei migranti.

Mare Nostrum e i migranti

“Si tentava allora, e si è tentato per molto tempo, di rimuovere il problema. Di fare come negli anni precedenti a Mare Nostrum: aspettare che passasse l’estate e il freddo sul Mediterraneo diradasse o bloccasse i viaggi dei barconi”, dice Letta. “Un atteggiamento miope, che non funziona. Mare Nostrum è ormai chiusa da più di un anno e le cifre dei migranti sono andate crescendo, segno evidente che non erano i soccorsi ad attrarli verso le nostre coste. Mare Nostrum, inoltre, costituiva un efficace strumento di lotta agli scafisti, perché grazie alle rilevazioni dei sommergibili e delle navi potevamo tracciare le rotte dei trafficanti e provvedere alla distruzione dei barconi, cosa che in seguito non è più stata possibile. Certo, la Missione aveva un costo, tra i 7 e gli 8 milioni al mese. Ma sui diritti dell’uomo non si può far ragioneria e poi i nostri mezzi navali e aerei avrebbero dovuto comunque fare esercitazioni che avrebbero avuto a loro volta un costo. Infine, con Mare Nostrum abbiamo salvato decine di migliaia di personeche avranno per sempre nel cuore l‘Italia come il Paese che ha restituito loro la vita e la speranza. Ora lo capiscono tutti ma per molti migranti è troppo tardi”.

 Come ha guardato, in questi mesi, all’atteggiamento dell’Unione Europea e dei Paesi europei?

“Con profonda amarezza. La loro inerzia dimostra che non si sono rendevano conto della portata del fenomeno, che non è passeggero ma tocca l’intero Mediterraneo, quindi ha dimensioni globali. La cosa davvero drammatica è che ci sia voluta la foto dei piccolo Aylan, morto annegato, per smuovere le cose…”.

Quindi Lei pensa che quella foto abbia avuto un effetto politico?

“Ha avuto un effetto rivoluzionario. Ma proprio questo è sconvolgente, proprio per questo dobbiamo riflettere sulla società che abbiamo costruito. I drammi dei migranti, le morti in mare… sono tutte cose che i politici conoscevano bene anche prima di vedere la foto di Aylan. E la politica su questi problemi deve intervenire prima delle campagne di comunicazione, prima dei sondaggi, prima che siano gli elettori a reagire alle immagini del dramma. Da vicende come questa, tra l’altro, il magistero di papa Francesco emerge in tutta la sua grandezza e lungimiranza, così come rivelano tutta la loro grettezza la pubblicistica e la polemica politica che l’hanno accompagnato”.

La questione delle quote, la posizione ostile della Gran Bretagna, il blocco degli ex Paesi dell’Est… Il problema dei migranti può far saltare l’Unione Europea?

“Il diverso approccio alla questione dei rifugiati mette certamente a rischio l’idea di Europa, la sua stessa missione, nata e cresciuta intorno al concetto di solidarietà. La Costituzione della nostra Repubblica, all’articolo 10 paragrafo 3, dice testualmente: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”. E fa impressione notare che il più cattivo tra i leader europei sia proprio il premier ungherese Orban, il quale evidentemente non ricorda che nel 1956, all’alba della Ue (il Trattato di Roma fu firmato nel 1957, n.d.r), il primo grande slancio di solidarietà europeo fu proprio verso i 200 mila profughi ungheresi che dovettero chiedere ospitalità ad altri Paesi a causa della repressione sovietica. E’ una constatazione tanto più amara quanto più si capisce che l’unica idea che può salvarci è quella dell’Europa integrata. I fatti degli ultimi mesi hanno reso evidente che nessun Paese europeo, da solo, può gestire gli attuali flussi migratori”.

Che cosa risponde a chi dice: non possiamo accogliere tutti?

“Che bisogna lavorare sulla distinzione tra due grosse questioni: migranti economici e rifugiati. E’ assolutamente legittimo che un Paese scelga tra i migranti economici che vogliono entrare nel suo territorio e non ammetta tutti. Ma non possiamo fare discriminazioni tra i rifugiati, anche perché le guerre da cui fuggono portano spesso il marchio della nostra responsabilità. Basta pensare alla Libia del 2011, quando Francia e Gran Bretagna si lanciarono in una guerra-lampo senza preoccuparsi delle conseguenze, o alla stessa Siria. E poi c’è un altro tema: dobbiamo caricarci sulle spalle, anche a livello economico, lo sviluppo dei Paesi nostri vicini. Oggi, nel mondo, non c’è frontiera in cui ci sia tanta differenza di prosperità e stabilità come tra l’Europa e la sponda Sud del Mediterraneo. O investiamo nello sviluppo dei nostri vicini o dobbiamo prepararci ad affrontare in perpetuo il problema dei migranti e dei rifugiati”.

Sembra però succedere esattamente il contrario: i Paesi agiscono in ordine sparso, l’Europa si ritrae dalle proprie responsabilità, parte dell’opinione pubblica è affascinata dagli slogan del populismo arrabbiato….

“Abbiamo bisogno di una leadership culturale e politica che su questi problemi rischi, metta la faccia. Non possiamo passare sempre e solo da Le Pen e Salvini al Papa: in mezzo c’è uno spazio che nessuno presidia ed è diventato terra di nessuno. Una volta sono andato in un liceo per un dibattito e, dal dialogo con i ragazzi, mi sono reso conto che sull’immigrazione avevamo posizioni molto diverse. Allora ho tentato un piccolo test: ho chiesto loro se gli immigrati in Italia sono il 20, il 14 o il 7% della popolazione. Mi hanno risposto il 20%, mentre sappiamo bene che sono il 7%. E tra il 7 e il 20% ballano 10 milioni di persone. Manca, oggi, una politica che affronti seriamente il divario tra realtà e percezione, tra i fatti e la narrazione pubblica”.

Germania, Austria, in parte la Gran Bretagna, hanno cambiato proprio in queste settimane il loro atteggiamento. Siamo a una svolta?    

“Spero che gli annunci delle ultime ore portino davvero a un cambio di passo. Ma solo i leader dei grandi Paesi e della Ue possono tradurre, con le loro decisioni, i proclami in azioni concrete. Diciamo che il giudizio per ora è sospeso, in attesa appunto di quelle azioni”.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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