GRECIA, FINE DEI (NOSTRI) SOGNI

sogniYannis Varoufakis, l'ex ministro delle Finanze del Governo Tsipras.

Grecia, fine dei sogni. I nostri, però. Sulla questione del debito greco, infatti, l’Europa ha prodotti sogni di genere opposto. Da un lato, quelli di chi pensava che, in una comunità varia e composita come l’Unione Europea, i concetti di rigore e serietà si potessero applicare come degli assoluti, come comandamenti scritti nella pietra. Il ministro tedesco delle Finanze Schauble, certo, ma anche un bel po’ di politici dei Paesi del Nord e dell’ex Est, oltre a milioni di cittadini europei poco disposti, in questi tempi di crisi, a regalare altri miliardi a una Grecia che ha usato i fondi strutturali europei per inseguire il paese di Bengodi.

Tutti questi sono stati dipinti a lungo come i cattivi, i crudeli, quelli pronti a lucrare sulle difficoltà, anzi sulla disperazione di dieci milioni di greci. In realtà, passato il referendum e approvato dalla Grecia (anche in Parlamento) l’accordo che il 61,3% dei greci, appunto tramite referendum, aveva rifiutato, si è visto che ciò che i “cattivi” raccontavano (pensioni baby, raccolta fiscale irrisoria soprattutto presso i ricchi, armatori di fatto esentati da qualunque tassa, isole privilegiate ecc. ecc.) era proprio vero. Ma i “cattivi”, a proposito di sogni svaniti, non hanno mai capito che una catena regge quanto il suo anello più debole. L’anello debole Grecia, fallito fin dal 2010 (su questo ha ragione l’ex ministro show man Yannis Varoufakis), poteva solo essere abbandonato al suo destino o salvato. Ed essendo prevalente, in Europa, la volontà di salvarlo, si poteva cominciare prima a farlo.

Sogni e sognatori

In questi cinque anni, la partita di giro puramente finanziaria (io, Fmi o Ue, ti presto i soldi così tu puoi ripagare i debiti che hai con le mie banche e i miei investitori) ha tenuto in piedi il Paese ma non ha fatto quasi nulla per farlo uscire dalla crisi. Poco, troppo poco dei 250 miliardi di prestiti forniti dal 2009, solo il 10-11%, è approdato all’economia reale, secondo uno studio del centro Macropolis. E cinque anni sono dannatamente lunghi. Non a caso adesso, sempre a proposito di sogni svaniti, anche la Merkel e il Governo tedesco (Mario Draghi e la Bce ci erano arrivati da tempo) parlano di “ristrutturazione” del debito greco. Il che vuol dire, se non un taglio, almeno un alleggerimento dei tempi. Non è molto ma è già qualcosa.

Ma nel lungo elenco dei sogni andati a farsi benedire c’è anche quello di una parte della sinistra e della destra europee che a Tsipras, Varoufakis, Syriza e ai greci aveva affidato il compito di resuscitare e potenziare un curioso mix di anticapitalismo e antieuropeismo, in quella che potremmo definire una tipica fuga dalla realtà. Idealismi e populismi insieme sistemati in un mondo parallelo in cui da un lato basta ripetere la parola “sviluppo” per veder sparire la crisi, e dall’altro basta prendersela con la Merkel e con l’Europa per governare l’economia. Adesso cominciano i ripensamenti: Paul Krugman, Nobel per l’Economia nel 2008, grande sostenitore di Tsipras, dice di “aver forse sovrastimato la competenza del governo greco che non aveva strategie se non quella di logorare la Ue”.

Krugman, in realtà, fa l’errore opposto. A quanto pare, la strategia alternativa c’era: era quella di Varoufakis, che voleva tener duro con la Ue fino a prospettare l’uscita della Grecia dall’Unione monetaria. Altri sogni, carrettate di sogni. Pare che la notte stessa del referendum Tsipras abbia ricevuto un rapporto, stilato dai suoi esperti, sulle conseguenze di un’eventuale uscita dalla Ue: un disastro economico, dai costi sociali ben più alti e crudeli di quelli, pur pesantissimi, che già vediamo. Cose che sapevano tutti, per primi i ministri Ue, che infatti sono andati a vedere il bluff. Da lì il voltafaccia di Tsipras rispetto al “suo” referendum, le dimissioni di Varoufakis e il sì all’accordo.

Se i greci non sognano più dal 2010, noi europei non greci abbiamo coltivato sogni impossibili per altri cinque anni, tra severità assoluta e finte prese della Bastiglia economico-finanziaria. Adesso si torna alla realtà, e alla ragione. Almeno così si spera. Il paradosso è che questa vicenda dovrebbe rafforzare, e non indebolire, lo spirito europeista. Il “caso Grecia” e i sogni che ha generato ci mostrano che un gruppo funziona quando tutti rispettano le regole e nessuno si mette in testa di abbandonare il più debole. Fuori da questi principi di base, molto semplicemente, non c’è più gruppo.

Segui anche “Gerusalemme, Damasco e dintorni”, il blog sul Medio Oriente di Famiglia Cristiana 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Altri articoli sul tema

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top