Le occasioni purtroppo non mancano, per capirlo basta seguire i telegiornali. Ma ogni volta che facciamo i conti con la persecuzione dei cristiani (quasi sempre in Paesi islamici) e con l’addolorato sdegno di papa Francesco, parte la corsa a far dire al Papa o ai suoi collaboratori, tirando loro la giacchetta, che è lecito, forse auspicabile fare la guerra. Come minimo speculando sulla famosa frase pronunciata nel 2003 dal cardinale Martino, allora nunzio, all’Onu: «I cattolici sono pacifici, non pacifisti».
La commedia era andata in scena con la Siria, con l’Iraq e si è puntualmente ripetuta dopo la strage di Lahore, in Pakistan, anche se in realtà non è cambiato nulla. La dottrina sulla guerra è sempre quella del Catechismo della Chiesa cattolica, paragrafi 2302-2330. Prima di tutto, «adoperarsi per evitare le guerre» (2308). Poi, se si arriva a «una legittima difesa con la forza militare», rispettare «rigorose condizioni di legittimità morale», che sono queste: «Che il danno causato dall’aggressore alla Nazione o alla comunità delle Nazioni sia durevole, grave e certo»; «Che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci»; «Che ci siano fondate condizioni di successo»; «Che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare» (2309).
Il Papa e l’Iraq
Chiunque può giudicare se tali condizioni siano applicabili oggi a un Paese come al Pakistan o se siano state applicate, giusto per fare un esempio di scuola, all’Iraq invaso dagli anglo-americani nel 2003. Riflettiamo, piuttosto, sulla persecuzione dei cristiani che «il mondo cerca di nascondere». A chi pensava papa Francesco, al momento di pronunciare quelle parole? Forse a quelli che definiscono “moderati” i Paesi che hanno finanziato l’Isis, o a chi ha permesso che la Costituzione dell’Iraq si desse come fondamento (art. 2) la shari’a islamica. Ma forse è solo un cattivo pensiero…
Segui anche “Gerusalemme, Damasco e dintorni”, il blog sul Medio Oriente di Famiglia Cristiana