SE LA GRECIA NUOVA FLIRTA COL PUTIN VECCHIO

Grecia.

Di colpo, gli Usa si sono innamorati della Grecia, in particolare della Grecia di Alexis Tsipras. Barack Obama è intervenuto almeno un paio di volte per dire che non è così che si fa con i Paesi in crisi, che l’Europa deve smetterla di imporre la politica dell’austerity e fare concessioni sul debito. Ai primi di febbraio, il Presidente, insieme con il ministro del Tesoro Jack Lew, ha anche costituito una task force di esperti che possa dare una mano alla Grecia nella gestione della crisi e, pare ovvio, della trattativa con Bruxelles. Come lui si è espresso anche il suo vice, Joe Biden.

In più, non si contano le dichiarazioni di economisti, esperti, politici americani che, dopo anni di totale indifferenza, escono allo scoperto per difendere la Grecia e le posizioni del Governo Tsipras in merito alla solita, vecchia questione: in che misura e quando ripagare i debiti accumulati dai precedenti Governi e in che misura dar retta alle indicazioni Ue sulle riforme da fare per avere altri crediti.

Per la Grecia l’aiuto russo

Tanto interesse americano per la Grecia si spiega in un modo solo: la Russia. Uno dei primi leader a congratularsi con Tsipras, il 25 gennaio, giorno della vittoria elettorale di Syriza, fu proprio Vladimir Putin, che poi ha pure invitato Tsipras a Mosca. Invito accettato e visita programmata per il 9 maggio. Una rapidità cui forse non è estranea la dichiarazione di Anton Siluanov, ministro delle Finanze della Russia, che ha detto: “Se la Grecia chiederà assistenza, noi siamo pronti a dare una mano”. Ma il carico da undici sulla questione lo ha messo lo stesso Tsipras che, alla prima occasione utile (intorno a metà febbraio), si è scagliato contro le sanzioni decise dalla Ue contro la Russia, definendole “ipocrite” e ricordando che la Grecia, con i mancati introiti “russi” nel turismo e nell’agricoltura, sta pagando alle sanzioni un caro prezzo.

Questo flirt Grecia-Russia ha fatto drizzare le orecchie agli americani. Dopo tutti gli sforzi che hanno fatto per aiutare la rottura tra Ucraina e Russia e così isolare il più possibile Mosca, l’apertura di credito di Tsipras a Putin davvero non ci voleva. Circondata dai Paesi ex satelliti del blocco socialista, diventati in vent’anni i più devoti membri della Nato, la Russia si vedeva offrire dalla Grecia una benvenuta uscita sul retro. Affacciata sul Mar Nero in proprio, tornata padrona della Crimea, all’offensiva nell’Ucraina dell’Est, di fatto padrona del sistema finanziario di Cipro, la Russia putiniana vedeva attraverso la Grecia la possibilità di allargare lo sbocco sul Mediterraneo e di incrementare la leva energetica.

Questa volta non più attraverso il petrolio, diventato assai più abbondante e meno redditizio di un tempo, ma tramite il gas. In particolare, un accordo con la Grecia andrebbe a completare quello già siglato con la Turchia per il gasdotto alternativo al South Stream che doveva raggiungere la Bulgaria e che la Russia, in polemica con i partner europei, ha deciso di abbandonare. Guardiamo la successione temporale: in dicembre Putin scomunica South Stream; ai primi di gennaio annuncia l’accordo con la Turchia di Erdogan; a fine gennaio Tsipras vince in Grecia; a metà febbraio Tsipras critica le sanzioni e manifesta interesse per il gasdotto russo-turco.

Se la cosa andasse in porto, per gli Usa di Obama sarebbe (quasi) tutto da rifare, dopo tanti sforzi per buttare la grana dell’Ucraina tra le gambe della Russia e dell’Unione Europea. Ecco quindi destarsi a Washington tutta quella preoccupazione per le sorti della Grecia. La prospettiva di un accordo Tsipras-Putin è ancora lontana e del tutto teorica. Però Tsipras, che è furbo la sua parte, la agita anche per contrattare meglio con le autorità di Bruxelles. Se gli eurocrati gli dicono che il programma di riforme è insufficiente rispetto ai crediti che pretende, lui manda avanti il ministro delle Finanze Varoufakis che minaccia un referendum sull’euro. Come dire: veniteci incontro, altrimenti ce ne andiamo per conto nostro. E c’è un signore, al Cremlino, pronto a darci soddisfazione.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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