NEMTSOV COME LA POLITKOVSKAJA

NemtsovBoris Nemtsov durante una manifestazione di protesta a Mosca.

La morte di Boris Nemtsov, l’ex ragazzo prodigio della politica russa (divenne vice primo ministro nel 1997, a soli 38 anni, anche se poi restò in carica solo per un anno) e il fiero oppositore di Vladimir Putin, assassinato a colpi di pistola nel centro di Mosca, è con ogni evidenza un omicidio politico. E lo è in qualunque caso, qualunque sia la motivazione, chiunque sia il mandante.

Facciamo le diverse ipotesi. La prima: Nemtsov è stato ammazzato per ordine del Cremlino, che non sopportava più le critiche di un politico molto vezzeggiato in Occidente. La seconda: Nemtsov è stato ammazzato da qualche ultra-nazionalista, entusiasta della politica di Putin in Ucraina e insofferente delle opposizioni. La terza: Nemtsov è stato ammazzato, proprio alla vigilia di una manifestazione organizzata dalle opposizioni, da qualcuno che voleva così organizzare un trappolone contro Putin e le politiche del Cremlino. Tutte queste ipotesi fanno di questa morte un omicidio politico.

Nemtsov e la nomenklatura

Ce n’è ovviamente anche una quarta: questioni di cuore o di sesso, qualcosa che ha a che fare con i suoi legami con Anna Duritskaja, la modella ucraina di 24 anni che era al suo fianco al momento degli spari. Ma se anche tutti gli indizi andassero in quella direzione, chi ci crederebbe?

Si replica così quasi alla perfezione lo scenario di un’altra morte illustre, quella di Anna Politkovskaja, la giornalista come Nemtsov assassinata a colpi di pistola a Mosca nel 2006, autrice di una serie di clamorose inchieste e campagne di stampa contro la politica del Cremlino putiniano in Cecenia.

E lo “scenario Politkovskaja” si replica anche nel fatto che per Putin è, comunque sia, una partita persa, un danno politico irreparabile. Se Nemtsov l’ha fatto ammazzare lui, è colpa sua. Se Nemtsov è stato ammazzato da qualche ultranazionalista, è colpa sua. Se Nemtsov è stato ammazzato per far cadere la colpa sul Cremlino e mettere in imbarazzo Putin, oppure è stato ammazzato da un amante geloso, nessuno ci crederà mai. In ogni caso, i media occidentali non daranno mai credito a una di queste due ultime versioni.

Lo abbiamo visto succedere anche con il Boeing abbattuto sui cieli dell’Ucraina il 17 luglio 2014 (298 morti). Obama disse subito: “Abbiamo le prove, sono stati i filorussi”. Le prove non sono mai saltate fuori, ma l’opinione pubblica internazionale dà per scontato che l’abbattimento sia da mettere a carico di Putin. Con Nemtsov succederà la stessa cosa.

Pare impossibile, a mente fredda, che Vladimir Putin sia così ingenuo da far ammazzare uno come Nemtsov proprio alla vigilia di una manifestazione di protesta anti-Cremlino. Anche perché Nemtsov era una figura molto in vista in Russia e molto apprezzata in Occidente, ma anche assai poco influente sulla concreta politica russa. Le sue posizioni contrarie alla politica russa in Ucraina sono assai poco popolari in Russia e sono condivise soprattutto dai circoli intellettuali e progressisti di Mosca e San Pietroburgo. Così come succedeva per le posizioni della Politkovskaja sulla guerra di Cecenia. Nulla, insomma, che potesse davvero incrinare la solidità del potere di Vladimir Putin.

Nemtsov, inoltre, era un tipico figlio della nomenclatura sovietica. Figlio di un vice ministro all’Edilizia, cresciuto e laureatosi a Gorkij (in epoca sovietica città chiusa, la stessa dove nel 1980 furono mandati in esilio Sacharov e sua moglie Elena Bonner), era poi diventato governatore della sua città (ribattezzata Nizhnyj Novgorod), uno dei più importanti centri industriali della Russia. Conosceva bene, quindi, abitudini e rischi della politica russa.

In ogni caso, Vladimir Putin porta intera su di sé la responsabilità per un Paese dove in questi anni, per una ragione  o per l’altra, le voci che volevano cantare fuori dal coro hanno rischiato la vita e troppo spesso l’hanno persa. E in questo i veri o presunti nemici della Russia davvero non c’entrano nulla.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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