DONBASS, PERCHE’ LA PACE NON SI FA

DonbassScene di morte a Mariupol.

Con più di 5.100 morti e oltre 11 mila feriti, quella che si svolge nel Donbass dell’Ucraina può essere chiamata solo “guerra”. Una guerra che si svolge nel cuore dell’Europa ma che, come le più atroci guerre combattute negli ultimi decenni miete vittime soprattutto tra i civili: le bombe che cadono sulle fermate degli autobus o sui mercati ricordano Sarajevo e gli orrori dei kamikaze che hanno martoriato l’Iraq.

Rispetto a tutto questo, nessuna delle parti coinvolte può sentirsi senza colpa. Non il nuovo regime ucraino, che ha per interesse politico sottovalutato (descrivendola come inesistente agli Usa e all’Europa) la storica incrinatura che da sempre correva tra la maggioranza degli ucraini etnici e la corposa minoranza (19-19%) russofona e russofila, insediata quasi totalmente proprio nel Donbass, cioè nella regione che fa da spina dorsale all’economia del Paese. Non l’Unione Europea né gli Usa, che si sono lanciati nell’avventura ucraina senza capire (o senza tener conto) che la Russia non avrebbe mai permesso alla Nato di insediarsi ai confini (dove peraltro è già arrivata, visto che ci sono basi Nato a 120 chilometri da San Pietroburgo) né alla Casa Bianca di controllare, per interposto Poroshenko, il canale decisivo per le forniture di gas dalla Russia all’Europa. Che quello fosse uno degli obiettivi lo si è visto dall’affondamento del gasdotto South Stream, seguito di poco al cambio di regime a Kiev.

Donbass nella battaglia

Men che meno può chiamarsi fuori la Russia di Vladimir Putin, che ha cercato di cavalcare l’ondata nazionalistica fomentando i ribelli del Donbass, armandoli e spingendoli verso Sud (cioè verso il porto di Mariupol, ora al centro dei combattimenti) nella speranza di sottrarre all’Ucraina una striscia di Donbass che le consentisse un collegamento via terra fino al Mar Nero, nuova autostrada del gas che va verso la Turchia.

La delicatezza della questione ucraina, le sue implicazioni geo-strategiche, lo stesso prezzo in vite umane pagato dalla rivolta anti-Yanukovich di Euromaidan, avrebbe consigliato un approccio più intelligente, una trattativa tra Europa, Ucraina e Russia, magari con Kiev assistita da lontano dalla Casa Bianca. Tutti, ognuno a proprio modo per interessi specifici, hanno preferito aprire un vaso di Pandora che nessuno riesce più a chiudere. E’ patetico che tutti, oggi, si appellino alla trattativa quando tutti, ieri, hanno fatto il possibile per evitarla.

Molti ora pensano che Putin non riesca più a controllare le milizie filo-russe del Donbass rivoltoso. E che nemmeno possa scaricarle, per timore che il nazionalismo russo, pompato a più non posso fino a regalare al Presidente indici di gradimento mai visti, possa adesso produrre un’ondata opposta e diventare disastroso per il Cremlino, soprattutto se l’onda del nazionalismo deluso dovesse agganciarsi allo scontento generato dalla crisi economica e alla recessione, che sull’anno viene valutata intorno al 5%.

Ma la stessa cosa è vera anche per Poroshenko, il presidente ucraino: sono soprattutto le milizie dei volontari a “tenere botta” sul lato ucraino del fronte, in particolare le milizie finanziate dagli oligarchi che hanno appoggiato il cambio di regime. E ora Poroshenko non può deludere né le milizie né gli oligarchi, perché le prime hanno speso vita e ideali nel cambio di regime, e i secondi hanno investito patrimoni e interessi nella sua presidenza.

Un altro fattore che contribuisce a inasprire la situazione e ad allontanare le prospettive di pace nel Donbass.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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