SOUTH STREAM, IL “GRAN RIFIUTO” DI PUTIN

South StreamQuel che resta di un gasdotto.

South Stream, il gasdotto di cui si parla dal 2007 e che doveva portare il gas russo in Europa passando sotto il Mar Nero e in mezzo ai Balcani, non si fa più. Segue la sorte del gasdotto “europeo” Nabucco, anche se ha fatto colpo il gran rifiuto di Vladimir Putin. Il politico che, in apparenza, avrebbe avuto più interesse a costruire il South Stream è stato invece quello che ha staccato la spina. Non ci interessa più, e via.

Parlando di “gran rifiuto”, non può non venire in mente papa Celestino V, infilzato da Dante nella “Divina Commedia” proprio come  “colui che fece per viltade il gran rifiuto”, dimettendosi da Papa tre mesi e mezzo dopo essere stato incoronato il 29 agosto del 1294. E qualcosa di tutto questo, nella rinuncia di Putin al South Stream, di fatto c’è. Perché il gasdotto veniva ormai ostacolato in modo palese dalle autorità della Ue, un cavillo dopo l’altro, una norma dopo l’altra. E perché l’impresa, anche gravosa dal punto di vista economico (ormai 24 miliardi di dollari per i 3.600 chilometri di condotte), non è più strategica nemmeno per la Russia, Putin ha detto basta prima che altri lo dicessero a lui.

Sullo sfondo ci sono, naturalmente, tutti gli eventi dell’ultimo anno. Due in particolare: la crisi in Ucraina e il crollo del prezzo del petrolio. In Ucraina, Putin ha più o meno ottenuto ciò che voleva: la Crimea, l’insurrezione nell’Est (e quindi la possibilità di tenere sulla corda il regime di Kiev e di avere, di fatto, un “corridoio” russo fino al Mar Nero) e soprattutto l’assunzione di responsabilità dell’Europa nei confronti dell’Ucraina. In poche parole, l’Europa pagherà alla Russia il gas che compra per sé (e che le arriva attraverso l’Ucraina, appunto) ma pagherà anche la bolletta energetica della stessa Ucraina, che non ha una lira. In questo modo, la dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia aumenta invece che diminuire: per non dipendere dalla Russia ora dipendiamo dall’Ucraina. Se Kiev non pagherà, la Russia avrà ogni diritto di chiudere i gasdotti. Quindi pagheremo, per noi e per gli ucraini. A che serve ai russi, quindi, il South Stream?

Dal South Stream al petrolio

Se le sanzioni economiche europee, e i dispetti sul South Stream, facevano alla Russia più o meno il solletico, diversa è la questione del crollo del prezzo del petrolio, ormai arrivato a 65 euro a barile dopo essere stato per quattro anni in media sui 103-105. Se pensiamo che il budget 2015 della Federazione russa era costruito sulla base di un petrolio  quotato 93 dollari a barile, capiamo quali siano oggi le difficoltà del Cremlino, costretto a tagliare le spese dello Stato (con quel che ne segue in termini di insoddisfazione sociale) e a coprire a suon di miliardi la perdita di valore del rublo.

Mosca ha un buco nel bilancio causato dal petrolio e può pensare di tamponarlo in un modo solo: vendendo gas. E vendendolo subito. Così taglia sulle spese (vedi per esempio South Stream) e cerca nuovi mercati. Pochi, maledetti e subito: ecco perché Putin, in Turchia, ha siglato un accordo con Erdogan per vendergli più gas di prima ma a un prezzo scontato del 6%. Ecco perché era così importante, per lui, l’accordo con la Cina. 

Anche perché la storia del petrolio non è finita. La tendenza al ribasso non mostra di volersi fermare, e la ragione è semplice: si produce sempre più petrolio nel mondo. Questa situazione, però, che adesso penalizza i Paesi che vivono di petrolio come la Russia, la Nigeria, il Venezuela o l’Arabia Saudita, potrebbe infine penalizzare anche i Paesi come gli Usa, che sullo shale oil (petrolio di scisto) stanno puntando anche per ragioni politiche. Negli ultimi giorni, per dirne una, le richieste di licenze per il fracking (la tecnologia necessaria per estrarre lo shale oil) sono calate del 15%, perché a questi prezzi il margine di profitto è ridottissimo.

Poiché il fracking sta dilagando (in Europa, per esempio, lo sanno tentando Bulgaria, Lituania, Polonia e Romania), possiamo immaginare che di petrolio ce ne sarà sempre di più. I vantaggi sono evidenti: un amico ha scritto proprio stasera su Facebook di aver fatto il pieno negli Usa con 24 dollari (19 euro). Il risparmio energetico potrebbe favorire la ripresa economica nei Paesi industrializzati ma scatenare il disastro in quelli che, appunto, vivono di petrolio. Per dire: la Russia ma anche l’Iraq, l’Iran e l’Arabia Saudita, il Venezuela e la Nigeria, la Libia e l’Angola, l’Algeria e il Kuwait. Siamo pronti?

Segui anche “Gerusalemme, Damasco e dintorni”, il blog sul Medio Oriente di Famiglia Cristiana.

 

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Altri articoli sul tema

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top