CHUCK HAGEL VITTIMA DI OBAMA. E DELL’IRAN

Chuck HagelChuck Hagel quando ancora Obama non aveva deciso di "licenziarlo".

Il siluramento del ministro della Difesa Chuck Hagel (perché di quello si tratta, altro che dimissioni concordate) ha poco a che fare con l’Isis o con l’Afghanistan. Sull’Isis, almeno fino a quando hanno aperto la stagione dei bombardamenti, gli Usa hanno sbagliato tutto: prima dando retta ad alleati come l’Arabia Saudita, che promettevano una rapida cacciata dell’autocrate alawita Assad e sono solo riusciti ad armare a finanziare i terroristi dell’estremismo islamico sunnita; poi minacciando di bombardare lo stesso Assad, che è quello che è ma almeno fa da argine all’Isis e compagnia bella. Quindi è incredibile che Obama faccia trapelare l’idea di divergenze strategiche con Chuck Hagel, che è ministro della Difesa da meno di due anni e non è certo lo stratega della politica estera della Casa Bianca. Di fronte a Hillary Clinton e a Kerry, il povero Hagel era ed è una scartina.

Quanto all’Afghanistan, dove stasera sono stati uccisi due militari Usa, portando il numero dei caduti americani in divisa a 2.153, la decisione di mantenere le truppe di combattimento anche per tutto il 2015 (mentre dovevano essere ritirate entro il 2014) dimostra a sufficienza quanto sia ancora critica la situazione, nonostante tredici anni di intervento militare occidentale, l’offensiva (surge) condotta tra il 2010 e il 2012 dal generale Petraeus e le successive promesse di pacificazione e ritiro. Bisogna mettere anche tutto questo sul conto del povero Chuck Hagel?

Chuck Hagel, in realtà, è la “vittima” del nuovo corso politico di Obama, quello che il Presidente  ha deciso di varare dopo la sconfitta alle elezioni di medio termine, che lo hanno lasciato con due anni di presidenza da trascorrere con l’intero Congresso (Camera dei Rappresentanti e Senato) controllato dai Repubblicani.

Chuck Hagel, il repubblicano anti-Bush

Per non farsi cuocere a fuoco lento, e lasciare in eredità al Partito democratico una sicura sconfitta nelle presidenziali del 2016, Obama si è lanciato su una serie di operazioni di politica e di marketing politico, che non starò qui a elencare. Di sicuro uno dei fronti per lui più scoperti, e forse quello su cui i Repubblicani più hanno battuto, è la sua apparente riluttanza a dare battaglia, a muovere l’esercito, insomma a mostrare gli attributi della potenza americana. E’ una sciocchezza, perché Obama le armi le ha usate eccome, e semmai ha sbagliato la strategia politica. Ma fa presa sugli elettori americani. Così ha deciso di porre rimedio alla disastrosa immagine di “guerriero riluttante” che gli è stata cucita addosso.

Quindi, le “dimissioni” di Chuck Hagel vanno insieme all’aumento dei “consiglieri militari” impegnati in Iraq (che in agosto erano 300 e oggi sono oltre 3 mila), che poco consigliano e molto agiscono, e alla decisione di restare per un altro anno in Afghanistan in assetto di guerra. E preannunciano, secondo me, una qualche decisione sul fronte Isis-Iraq-Siria, per completare un trittico destinato a restaurare il decisionismo bellico della Casa Bianca e del suo inquilino.

Tra l’altro, il siluramento di Chuck Hagel è a costo politico zero. Hagel è un repubblicano, quindi pochi tra i democratici piangeranno la sua uscita di scena. Ma è un repubblicano anomalo, un ex senatore che spesso votò contro le decisioni dell’amministrazione Bush, da lui a suo tempo definita “la peggiore in capacità, efficienza, politica e consenso”. Quindi anche su quel lato saranno pochi i rimpianti.

Obama e i suoi consiglieri, comunque, sono più sottili e intelligenti di così. Ed è probabile che, se vorranno annunciare qualche colpo di scena riguardo all’Isis, lo faranno anche per coprire la strategia sul fronte che in Medio Oriente oggi più conta: l’Iran, e la trattativa per mettere sotto controllo le sue ambizioni nucleari. Come si sa, il termine è scaduto proprio oggi ma le parti (da un lato l’Iran, dall’altro il cosiddetto 5+1: i Paesi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania) hanno deciso di darsi tempo fino al 1 luglio 2015. Un accordo con l’Iran cambierebbe l’intera regione e qualche anticipo l’abbiamo già visto, con l’assistenza militare che gli sciiti iraniani (in questo caso paradossalmente alleati sia di Assad sia di Obama) hanno offerto ai curdi iracheni per aiutarli a respingere l’Isis. Mostrarsi grintoso in Afghanistan e contro l’Isis (scaricando su Chuck Hagel la colpa delle passate indecisioni) potrebbe servire a Obama per guadagnarsi presso gli americani il tempo e lo spazio per firmare una buona “pace” con l’Iran.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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