I REPUBBLICANI PICCONANO IL SOGNO DI OBAMA

Repubblicani Usa all'attaccoBarack Obama... perplesso.

Al di là del risultato, cioè a prescindere dal fatto che i Repubblicani riescano a conquistare quei famosi, ulteriori sei seggi al Senato che darebbero loro la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento (anche se gli analisti dei flussi elettorali assegnano a tale ipotesi il 70% delle possibilità), queste elezioni di “medio termine” segnano la fine di un sogno: quello incarnato da Barack Obama a partire dalla sua fulminea comparsa sulla scena politica americana nel 2008.

Il primo presidente nero degli Usa è già una “anatra zoppa” dal 2012, cioè da quando i Repubblicani hanno conquistato la Camera dei Rappresentanti, dove detengono una solida maggioranza di 233 seggi sui 435 totali. E in questo Obama non ha fatto che replicare la sorte già toccata sia a George Bush sia a Bill Clinton. Se perdesse anche il controllo del Senato, la sua diventerebbe una presidenza quasi virtuale, da occupare soprattutto in due modi: lanciare (o non danneggiare troppo) il prossimo candidato democratico per le presidenziali e, ancor più, usare il potere di veto per fermare le iniziative che il Parlamento ostile dei Repubblicani di certo proverebbe a prendere. Per esempio, l’interruzione dei negoziati con l’Iran sul nucleare o il varo di una nuova spedizione militare in Iraq, solo per citare due temi su cui gli esponenti repubblicani si sono spesso pronunciati.

Repubblicani all’attacco

Ma più che il dato politico, in queste ore colpisce quello culturale, quasi antropologico: un’idea dell’America che si era presentata come unica e diversa e che ora rapidamente declina perché troppo vaga e indeterminata. E’ una realtà che si misura attraverso una lunga serie di paradossi. I candidati democratici hanno quasi fatto a gara per distinguersi dalla presidenza e uscire dal cono d’ombra di Obama, la cui popolarità è oggi ferma a un modesto 44%. Eppure i sondaggi rivelano che anche questo sarà un voto pro o contro Obama, un ennesimo referendum sul Presidente, con i contro (32%) a superare nettamente i pro (20%).

Obama ha finito con l’impantanarsi in una specie di terra di nessuno politica, una zona grigia che non ha soddisfatto i suoi molti sostenitori della prima ora ma non è riuscita ad attrarre e convincere chi lo avversava. Prendiamo l’economia. Ha saputo rilanciarla e rimettere in moto la creazione di posti di lavoro. Ma lo ha fatto a prezzo di un deficit di bilancio che infine ha presentato il conto, sotto forma di tagli e nuove tasse che hanno colpito i ricchi (più voti per i repubblicani) ma anche la media e piccola borghesia (meno voti per i democratici). E ancora: il Presidente che in sei anni di Casa Bianca ha dato l’ordine di bombardare sette Paesi a maggioranza islamica (Pakistan, Iraq, Yemen, Libia, Afghanistan e Siria) viene ora accusato dai Repubblicani di scarso spirito combattivo. E gli si rimprovera quel ritiro dall’Iraq che, all’epoca della sua prima elezione nel 2008, tutta l’opinione pubblica americana invocava.

Se a questo aggiungiamo i problemi legati al varo della sua più grande riforma interna, quella che prevede l’assistenza sanitaria per tutti in un Paese in cui prima 40 milioni di persone erano prive di copertura, e le recenti polemiche sulle violenze della polizia ai danni dei neri, particolarmente crudeli per lui che dell’emancipazione delle minoranze aveva voluto farsi garante, ecco allora spiegato questo malinconico tramonto. Che è prima di tutto suo, di Obama. Ma non è solo suo: come si diceva, è tutta un’idea “altra” dell’America a mostrare la corda. L’alternativa però, se non spunterà tra i repubblicani una personalità nuova capace di sparigliare le carte, non è un’idea migliore ma una già vista e non granché brillante. Rassicura perché banale.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 3 novembre 2014

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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