IRAN, I BASIJ SI FANNO SENTIRE

basijIl comandate dei basij, Mohamad Reza Naghdi, durante il comizio.

Giro per Teheran e naturalmente finisco al bazar. Qui faccio un incontro ravvicinato con uno dei pilastri del regime, i basij (mobilitazione, o per dirla tutta: basij -e-mostadafin, mobilitazione degli oppressi), e addirittura con una delle figure più influenti dell’attuale assetto di potere: Mohamad Reza Naghdi, il comandante dei basij.

Ma ricapitoliamo. Mi sono appena avvicinato al bazar quando una grande folla ne esce. Portano tre bare avvolte nella bandiera della Repubblica islamica che contengono, mi viene spiegato, i resti di tre basij caduti durante la guerra contro l’Iraq (1980-1988). Vengono portate verso Piazza della Fortezza, poco lontano, dove appunto parlerà Naghdi. Ma intanto è interessante notare la “coreografia” della processione, che è in sé una dichiarazione politica. Il corteo funebre dei tre basij parte dal cuore del bazar, cioè dal mausoleo di Zeid, che fu il figlio del sesto imam della tradizione sciita (che ne conta dodici, con l’ultimo sparito e prossimo a tornare sulla terra). Il che dice due cose importanti.

La prima è ribadire la storica alleanza tra i bazari e la Rivoluzione islamica. La caduta dello shah Reza Pahlevi fu annunciata dallo sciopero prolungato dei mercanti del bazar. E l’inquietudine dei bazari è il più efficace termometro della febbre dell’Iran degli ayatollah: nel 2010 scioperarono contro Ahmadinejad e la sua decisione di aumentare le tasse; e un bello sciopero dei mercanti di oro e di materiali ferrosi è toccato pure al suo successore Rouhani nel luglio scorso, sempre per una questione di tasse. Far partire dal bazar, per altro tappezzato di poster con i volti dei martiri della guerra contro l’Iraq, la processione per i basij è una dichiarazione generale di fedeltà.

I basij e Muharram

Ma non basta. Non può essere un caso se queste povere salme vengono onorate, dopo tanti anni, proprio nei primi giorni del mese di Muharram, cioè quando tutto il mondo sciita celebra il lutto per lo sterminio nella battaglia di Kerbala (anno 680, nell’attuale Iraq) di Hussein, figlio di Alì e della figlia di Maometto Fatima, e di tutta la sua famiglia, immolatasi nel tentativo di restituire ai discendenti diretti del Profeta il potere sulla comunità islamica. Questo vuol dire che i basij vengono in qualche modo accomunati ai primi martiri dello sciismo. E infatti le tre bare vengono portate alla Piazza della Fortezza dove sorge, tra l’altro, il takiyeh della Fortezza: ovvero lo spazio (che non è una moschea) dedicato alle celebrazioni del lutto e dove domani il presidente Rouhani andrà a commemorare Hussein. E’ la conferma che la guerra contro l’Iraq, per tutta una serie di ragioni, è ormai un mito fondativo della Repubblica islamica. Come per noi la Resistenza, per i francesi la Rivoluzione, per gli americani la Guerra Civile.

La somma di tutti questi elementi si traduce in un’esaltazione del ruolo dei basij, la milizia di volontari che fu fondata per volere dell’ayatollah Khomeini nel 1979, subito dopo la presa del potere. E che si distinse durante la guerra contro l’Iraq per lo spirito di sacrificio, andando all’assalto a dispetto di perdite enormi, o spedendo volontari (spesso ragazzini) ad attraversare i campi minati.

Naghdi, nel suo comizio, esalta il ruolo di Khomeini, ricorda i sacrifici del tempo di guerra, ammonisce sul fatto che nessuno può illudersi di piegare la Repubblica islamica, neppure gli Usa. E soprattutto, sfruttando il tributo alle salme, richiama alla memoria di tutti quanto i basij hanno fatto per contribuire alla sopravvivenza della stessa Repubblica. Anche qui: è possibile che, a tanti anni dalla fine della guerra, la scoperta dei resti di tre poveri soldati possano “meritare” un simile apparato?

I basij (quanti siano davvero è un po’ un mistero: le stime più recenti e affidabili parlano di 90 mila persone a tempo pieno, altre 300 mila mobilitabili a comando e 1 milione di altri militanti di riserva) avevano conosciuto un periodo di ribasso durante le presidenza “riformatrici” di Rafsanjani e Khatami ma erano poi riemersi alla grande con Ahmadinejad. Erano stati soprattutto loro a intervenire, nel 2009, per stroncare le proteste contro la rielezione di Ahmadinejad. Viene quindi da chiedersi se tutto il cordoglio intorno a queste tre salme non volesse anche essere un messaggio inviato a Rouhani, un altro presidente riformatore che potrebbe non gradire l’eccesso di personalità dei basij.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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