ISIS, USA, BOMBE E FROTTOLE

IsisUn carro armato dell'esercito siriano catturato dai miliziani dell'Isis.

Dietro il fumo e la polvere delle bombe che aerei e navi Usa hanno scaricato ieri sulle zone della Siria controllate dall’Isis, e sulla città di Raqqa che i seguaci del califfato considerano la propria “capitale”, rischia di passare inosservata una svolta politica in potenza ancor più decisiva dell’intervento militare. Possiamo sintetizzarla così: Obama bombarda la Siria ma non Assad. O anche: gli sciiti sono un po’ meno cattivi di prima. In tutto il Medio Oriente, cioè, la Casa Bianca sta mettendo la sordina alla parola d’ordine che per decenni ha sostenuto con intransigente fermezza: stare con i sunniti, e in particolare con i regni petroliferi del Golfo Persico, a tutti i costi. Senza se e senza ma.

Obama fa di necessità virtù. Il virus dell’Isis va neutralizzato subito: rischia di infettare alleati fedeli come Giordania e Arabia Saudita, creare guai a Israele, spaccare in due l’Iraq. E’ l’emergenza, ora, a dettare le regole. Così gli Usa trovano un modo complicato ma efficace (una comunicazione alla rappresentanza siriana all’Onu) per avvertire Assad dei raid senza riconoscergli alcun ruolo: segno che anche Washington, pur disprezzandolo, considera il dittatore siriano e sciita l’unico ostacolo al dilagare sul terreno dei terroristi sunniti.

Inoltre l’Iran, già “Stato canaglia”, è ora un prezioso sostegno alla resistenza contro l’Isis dei curdi, a loro volta alleati storici degli Usa. Del Libano degli Hezbollah sciiti, amici degli ayatollah e alleati di Assad, non si parla più. E persino nello Yemen, i guerriglieri sciiti, che così spesso Obama fece bombardare dai suoi droni, ora siedono nella capitale e trattano con il presidente Abdrabbuh Hadi  (sunnita, anzi wahabita tendenza Arabia Saudita), “inventato” in quel ruolo dagli Usa nel 2012.

Isis e Al Qaeda

C’è un’ulteriore considerazione. George Bush fece i suoi clamorosi errori ma anche Obama non ha scherzato. Sposare la causa sunnita in modo tanto acritico è costato caro a lui e carissimo a tanti civili innocenti. Nello Yemen, dove gli Usa hanno gestito la guerra agli sciiti e il cambio di regime, si nasconde la cellula di Al Qaeda più feroce e pericolosa del mondo. La briglia troppo sciolta lasciata ad Arabia Saudita e Qatar, oltre a ciclopiche brutte figure (Obama sponsor della democrazia che “benedice” la sanguinosa repressione saudita in Bahrein…), ha contribuito a far crescere l’Isis, nei suoi passi iniziali finanziata proprio dal Golfo.

Ancora: in Egitto ha dovuto pensarci Al Sisi, con i modi più che spicci del militare, a bloccare i Fratelli Musulmani e la slavina che poteva travolgere il Sinai. In Libia  i wahabiti della Tripolitania, come al solito finanziati dall’Arabia Saudita, sono riusciti a spaccare il Paese in due. Per non parlare dell’Iraq, dove il terrorismo sunnita ha fatto strage per un decennio. Conclusione: Barack Obama, premio Nobel per la Pace 2009, con queste incursioni in Siria contro l’Isis è arrivato al settimo Paese islamico (Pakistan, Afghanistan, Yemen, Somalia, Libia, Iraq  e appunto Siria) bombardato.

Basterebbe molto meno per dedurre che qualcosa non funziona. L’attuale correzione di rotta, quindi, va seguita con attenzione. Può essere solo tattica, ed esaurirsi una volta finita l’emergenza Isis. Ma può avere anche un valore strategico e metter fine, o almeno limitare, il “doppio standard” che tanti danni e lutti ha portato al Medio Oriente. Quella bizzarra filosofia politica per cui il dittatore amico mio va coccolato mentre quello amico di altri abbattuto; l’estremismo dei miei amici difeso e quello altrui combattuto; e la democrazia è un valore in casa dei nemici, mentre per gli alleati è un’optional.  Gli sprovveduti chiamano questo realismo mentre è irreale credere che i popoli coinvolti non si rendano conto della truffa.

Se così fosse, si andrebbe incontro anche all’appello di papa Francesco che, di ritorno dalla Corea, disse: “Dove c’è un’aggressione ingiusta, è lecito fermare l’aggressore… Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra: fermarlo”. Perché poi la pace, quella fatta per durare e per cambiare le cose, va costruita con ben altri mezzi. E senza raccontare o raccontarsi disastrose frottole. Perché, come disse di seguito il Papa, “… dobbiamo avere memoria, pure, eh? Quante volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una guerra di conquista!”. E i popoli, forse più di noi, hanno la memoria lunga.

Pubblicato su Avvenire del 24 settembre 2014

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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