GAZA, ANCHE QUI TOCCA AI POVERI

Gaza quartieri distruttiEcco quel che è rimasto della casa di una famiglia di Shejaiya, a Gaza.

Da Gaza City – Gaza non è diversa da molte altre parti del mondo, almeno sotto certi aspetti. Per esempio: anche nella guerra contro Israele, anche qui, la prima linea tocca in gran parte ai più poveri.

Avete presente quei paesini contadini dell’Italia profonda, col monumento in piazza a mostrare una quantità di caduti incredibile rispetto alla popolazione? Ecco, qui è uguale. Gaza City, con i suoi mercati e le botteghe un po’ più di lusso del centro, è stata risparmiata, e i suoi abitanti anche.

Ma basta uscire verso i sobborghi di Gaza, che sono (erano) poi quartieroni grigi e cementificati, con al più qualche capannone per modeste fabbrichette (yoghurt, succhi di frutta, ceste e cestini) e qualche allevamento, ed ecco che le distruzioni aumentano in modo esponenziale, e i morti con loro.

Gaza e la guerra dei sobborghi

Shejaiya sembra la riproduzione di una di quelle vecchie foto della Berlino appena conquistata dalle truppe russe dopo mesi di bombardamenti. Beit Hanoun anche ma, anche qui, con la solita differenza: le case popolari costruite con i soldi degli Emirati Arabi Uniti sono state letteralmente spazzate vie. Palazzoni di dieci piani, lunghi quasi un chilometro, le cui rovine ora stanno in piedi non si sa come. Ricordo del passato e ammonimento per il futuro di Gaza.

La stessa dislocazione geografica corrisponde a una discriminazione di classe. Abitare fuori Gaza City, più vicini al confine con Israele, tocca ai poveri. Perché lì è più pericoloso, lì si abbattono con regolarità le distruzioni della guerra: quindi è anche più brutto, più affollato, con meno servizi, con meno speranza. Qui la disoccupazione, che ufficialmente è al 60%, sale ancora, verso il 75%. Qui mancano persino i lavori che altrove fanno campare un sacco di famiglie: quelli presso le Ong e le istituzioni internazionali che, si dice, occupano il 70% di quelli che nella Striscia hanno un lavoro.

Inutile dire che in questi quartieri (o quel che ne resta), assai più che negli altri, si vedono i poster dei “martiri”, che a volte sono combattenti col mitra in spalla e altre sono persone qualunque che le sparatorie si son portate via senza fare tante distinzioni, minimo comun denominatore del rancore, anzi dell’odio, che si diffonde tra la gente.

Immagino che i generali di Israele abbiano ben altri pensieri. Ma una riflessione sul fatto che, in caso si debba proprio fare la guerra, sarebbe utile allo stesso Israele risparmiare i più poveri di Gaza, io magari la farei.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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