IL GAS CHE SCONVOLGE RUSSIA, UCRAINA ED EUROPA (1)

GasGasdotti in Siberia.

Mentre a Donetsk si spara, nelle cancellerie si firma. Vladimir Putin annuncia il varo dell’Unione Euroasiatica con Bielorussia e Kazakhstan e il neo-presidente ucraino Petro Poroshenko promette di siglare il trattato di associazione alla Ue subito dopo l’insediamento. Le autorità della Ue, in mancanza di meglio, si scambiano documenti sull’Agenzia comunitaria per gli acquisti energetici, proposta dalla Polonia per accrescere il potere contrattuale verso i fornitori, e intanto fanno le prove per capire se e quanto i nostri fornelli soffrirebbero se la disputa tra Russia e Ucraina portasse a un blocco del flusso del gas.

Le firme (non sarebbe male mettere nel conto anche il discorso di Obama a West Point sulla politica di sicurezza nazionale degli Usa) dimostrano che gli spari sono la parte più crudele ma anche più effimera di una battaglia che si combatte in Ucraina ma ha per posta gli assetti globali dei prossimi decenni. Assetti in cui quella cosa volatile chiamata gas gioca un ruolo importante.

Sulla questione aleggia la retorica delle opposte propagande. Vladimir Putin ha fama di cinico e freddo calcolatore, salvo trovarsi cucita addosso la divisa del sognatore che immagina il ritorno dell’Unione Sovietica. Lo Zar, però, ha ben altro a cui pensare. Nel terzo mandato presidenziale si è trovato di fronte gli stessi problemi dei primi due: difficoltà ad attrarre investimenti diretti dall’estero e una riconversione dell’economia che procede a strappi, laddove pure procede. Fino al 2008, con i prezzi di gas e petrolio ai massimi, la crescita era garantita. Ma la crisi ha colpito duro, più duro che altrove, e l’incremento del Pil, stabile oltre il 7% nel decennio 1998-2008, è precipitato a un flebile 2%. Per cui l’Unione Euroasiatica, più che il mezzo per resuscitare un’Urss di cui importa solo ai veterani della Grande Guerra Patriottica, è la strada per consolidare l’accesso a mercati emergenti. Bielorussia e Kazakhstan formano per la Russia, da soli, il terzo mercato mondiale dopo Europa e Cina, con un interscambio commerciale che in tre anni è cresciuto del 50%. Dando per acquisite Georgia e Armenia, e per acquisibili Kirgizistan e Tagikistan, si capisce quanto bruci al Cremlino aver perso l’Ucraina, tassello decisivo sul fronte Ovest.

Il gas e la politica

Il buon Putin, per parte sua, si gioca la retorica di potenza sul fronte interno (“Il crollo dell’Urss è stata una disgrazia storica”, ama ripetere) per non ammettere che la realtà dice l’opposto: la Russia, oggi, conta nel mondo se gioca di sponda. I casi di Iran e Siria lo dimostrano. Con i rischi del caso, naturalmente. Il primo è che il bullo del quartiere se ne accorga e intervenga, proprio come hanno fatto gli Usa in Ucraina nel 2004 (Rivoluzione Arancione) e adesso, per scombinarti tutto. Il secondo è che ti tocchi metterti in affari con tipi più forti e robusti di te, per esempio la Cina, sperando che tutto vada bene.

La propaganda si è molto esercitata sul recente accordo tra Putin e Xi Jinping e sull’accordo da 400 miliardi di dollari per una fornitura trentennale di gas russo alla Cina, riducendolo a una chimera (bisognerà costruire il gasdotto, partirà solo fra qualche anno…) o a una resa di Mosca all’espansionismo di Pechino.

Ma i dividendi delle strategie energetiche si raccolgono anche in politica. Ecco qualche esempio: nelle pieghe dell’accordo sul gas c’è il patto per triplicare l’esportazione di petrolio verso la Cina di Rosneft, il colosso diretto da Igor Sechin (vecchio collaboratore di Putin fin dai tempi dei servizi segreti) che ha consistenti partecipazioni anche nelle nostre Saras e Pirelli. Così la Russia arriverà allo stesso livello dell’Arabia Saudita (un milione di barili al giorno), fedele alleato degli Usa, nei contratti petroliferi con la Cina. Altro esempio: il patto energetico con Pechino offre al Cremlino la possibilità di accedere ai fondi quasi illimitati della Banca cinese per lo sviluppo, un colosso che nel 2011 aveva erogato prestiti per 210 miliardi di dollari. Il primo banco di prova sarà proprio il completamento del gasdotto dell’Altai per cui transiterà il gas pattuito nel recente accordo.

1.continua

Pubblicato su Avvenire del 30 maggio 2014

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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