PALESTINA E PAPA UN INCONTRO COMPLICATO

Palestina e PapaPreghiera in Palestina.

Palestina e Papa è un binomio che rischia, alla vigilia della visita di Francesco e nei cinquant’anni di quella, storica di Paolo VI, di farsi ancor più complesso del previsto. Le novità, rispetto anche solo a qualche mese fa, non mancano e non tutte vanno nella direzione giusta.

Intanto, una considerazione: il “peso” di questa visita non può né deve essere sottostimato. Il mondo politico israeliano è piuttosto impermeabile a giudizi e influenze esterne ma certo non manca di astuzia o senso tattico: papa Francesco è troppo popolare, troppo stimato e soprattutto troppo intelligente per essere preso sotto gamba. Il suo intervento è stato forse decisivo per scongiurare un’escalation militare in Siria (cosa di cui Obama dovrebbe essergli molto grato) e questo è successo non solo perché è il Papa ma anche perché diceva la cosa giusta (o percepita come tale da molti) nel momento giusto. Anche papa Wojtyla disse la cosa giusta sull’Iraq ma non in un momento altrettanto giusto. Palestina e Papa, oggi, è un mix molto promettente.

Come si diceva, però, le ultime novità rischiano di rendergli ancor più complicato il viaggio. Intanto, si è drammatizzata la situazione a Nazareth. Il vescovo Giacinto-Boulos Marcuzzo ha ricevuto una lettera minatoria con la pretesa che “tutti i cristiani a eccezione dei protestanti e degli anglicani” lascino Israele. In caso contrario, la pena per il vescovo e i fedeli sarebbe la morte. Firmato “Messia, figlio di David”. Con ogni probabilità l’opera di uno squilibrato (un uomo è stato subito arrestato dalla polizia israeliana), comunque una provocazione che va a inserirsi in una polemica sotterranea ma già alimentata ad arte per sottolineare che durante il viaggio si vedrà Papa e Palestina (Betlemme), Papa e Giordania (Amman e il Giordano), Papa e Israele (Gerusalemme) ma non il Papa a Nazareth, dove vivono molti arabi cristiani e dove Benedetto XVI si incontrò con il premier Netanyahu.

Jorge Mario Bergoglio è molto stimato negli ambienti dell’ebraismo, conosce Israele e comunque non è personalità da cadere in simili trappolette. Più difficile ciò che lo attende sulla strada di Betlemme. Pochi giorni fa Al Fatah, che controlla e governa la Cisgiordania, e Hamas, che controlla e governa la Striscia di Gaza, hanno stretto un accordo politico: governo di “unità nazionale” presieduto da Abu Mazen (Al Fatah), poi elezioni. Abu Mazen ha subito annunciato che il “suo” Governo provvisorio riconoscerà Israele, perché ci crede e perché voleva disinnescare l’immediata obiezione israeliana: vi alleate con Hamas che è un movimento terroristico, quindi nessuna trattativa è più possibile.

Palestina e Papa, la speranza

Ora, se la rinuncia alla lotta armata per distruggere Israele diventasse patrimonio di tutte le fazioni palestinesi, lo Stato ebraico avrebbe un bel problema politico: come continuare a dire no alla trattativa? Per fortuna di Netanyahu ci ha pensato Mousa Abu Marzouk a chiarire i limiti dell’accordo tra palestinesi: di riconoscere Israele non se ne parla, di disarmare le brigate islamiste che da Gaza sparano missili verso Israele nemmeno; se Abu Mazen la pensa all’opposto, be’, è un problema suo.

E’ ovvio che la prospettiva dell’incontro Palestina e Papa è più alta e diversa. Ma l’autoreclusione politica dei palestinesi è un grosso problema. Intanto, perché la prima a soffrirne è la comunità cristiana. Ne soffre due volte: perché parte della minoranza araba a fronte della maggioranza ebrea, e poi perché sotto-minoranza cristiana tra i musulmani. In secondo luogo, perché la pressione dell’occupazione israeliana e le discordie nel mondo arabo stanno lentamente e inesorabilmente modificando il Dna della Terra Santa.

Circa 100 mila cristiani (1,6% della popolazione palestinese) vivono in Palestina (Gaza compresa) e oltre 400 mila nella diaspora. Dal punto di vista dei numeri (anche per quanto riguarda sacerdoti e seminaristi), l’architrave del cristianesimo della Terra Santa è ormai la Giordania, dove i cristiani sono quasi il 7% della popolazione (circa 400.000 persone). Considerato quanto accade in Siria (con i riflessi sula Giordania stessa) e quanto minaccia sempre di accadere in Libano e quanto è già accaduto in Egitto, un vero accordo tra i palestinesi sarebbe un grande passo avanti per i cristiani della Terra Santa e per frenare un esodo che non può sempre e solo affidarsi al desiderio degli arabi cristiani di non abbandonare la terra dove tutto è cominciato. Impossibile che Bergoglio non  lo sappia. Altrettanto impossibile sperare che lo capiscano anche i leader palestinesi. 

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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