Il dramma di Asia Bibi, la donna pakistana cristiana, madre di cinque figli, che dal 2010 è detenuta in isolamento nel braccio della morte dopo essere stata condannata alla pena capitale a causa del famigerato “reato di blasfemia”, non cessa di allargarsi. Per lei che si vede negata ogni forma di giustizia, visto che il processo d’appello, arrivato appunto a quattro anni dalla condanna, è stato ancora una volta (la quarta in due mesi) rinviato per un grottesco cavillo procedurale di avvicendamento tra i giudici, chiaramente usato come scusa per rinviare il dibattimento di molti mesi. Ma, a questo punto, soprattutto per il Pakistan.
E’ penoso che il Governo di un grande Paese di 180 milioni di persone non trovi il coraggio di intervenire su una legge, quella appunto che regola il “reato di blasfemia”, che produce ogni sorta di abuso contro gli individui e discriminazione contro le minoranze religiose: nel primo caso perché viene usata come un comodo strumento di vendetta per faide private; nel secondo perché, attraverso una rete di testimoni fasulli e magistrati pavidi o complici, serve come una clava da agitare contro le minoranze. L’uno e l’altro nel caso di Asia Bibi.
Asia Bibi e gli estremisti
Ma è, se possibile, ancor più penoso che il Governo del premier Nawaz Sharif si nasconda dietro gli scartafacci dei burocrati per non dover decidere su quel minimo di garanzie costituzionali da concedere a una donna inerme come Asia Bibi, così minacciata da non poter assistere alle udienze del processo che la riguarda, così indifesa da non riuscire nemmeno a farsi processare.
In questo modo Sharif e i suoi ministri perseguitano Asia Bibi ma soprattutto disonorano la memoria di due martiri della civile convivenza come Salman Taseer, musulmano, e Shabhaz Bhatti, cristiano, il governatore del Punjab e il ministro per le Minoranze assassinati nel 2011 proprio perché non disponibili alla fuga di fronte all’estremismo islamico. Ma soprattutto consegnano l’intero Pakistan alle forze più oscure e retrive. Le stesse che hanno riportato l’Afghanistan indietro di secoli e che hanno trasformato l’area pakistana del confine in una landa dominata da clan e kalashnikov.
Pubblicato su Avvenire del 15 aprile 2014
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