ERDOGAN VINCE. GULEN NON BASTA A BATTERLO

Erdogan vince.Il premier turco Erdogan.

2011 o 2014, la sostanza non cambia: Erdogan vince. E più o meno con gli stessi voti: 46,5/47,5% dei voti rispetto al risultato record del 2011, che fu il 49,83. Dunque a nulla sono serviti un po’ di intrighi dei soliti militari, le proteste di Ghezi Park, l’indignazione dei giovani, gli scandali che hanno coinvolto lo stesso Erdogan, la politica repressiva delle autorità, la censura su Twitter e su Facebook. Ancora una volta Erdogan vince.

Fino all’ultimo i molti critici di Erdogan hanno sperato nel colpo di scena. Al punto da fare il tifo persino per un personaggio oscuro, e dall’islamismo certo non più maneggevole di quello del premier, come Fetullah Gulen, 72 anni, fondatore del movimento Hizmet (Servizio), una potente macchina da soldi e da influenza sui giovani. Hizmet è forte soprattutto nelle scuole (in particolare quelle che preparano gli studenti agli esami d’ammissione alle università), nell’editoria (Tv, quotidiani, agenzie di stampa) e nel settore bancario, direttamente o attraverso la rete degli ex studenti.

Erdogan vince. Ma ora sa che…

Gulen è stato tra i finanziatori di Erdogan quando questi era agli inizi della carriera, e da ciò ha ricavato congrui vantaggi. Nel 2000 Gulen era finito sotto processo per “complotto” e nel 2008, con Erdogan arrivato al potere, fu prosciolto. Ancora nel 2011 le autorità turche arrestarono un giornalista che aveva scritto un libro dedicato all’Hizmet e intitolato L’esercito dell’imam. Ma qualche tempo fa qualcosa dev’essere cambiato nei rapporti tra i due, che sono entrati in conflitto. Erdogan ha fatto chiudere le scuole di Gulen e il movimento Hizmet ha cominciato a fare da amplificatore alle accuse di corruzione contro il premier, e ai video e alle intercettazioni che le sostanziavano. Erdogan vince. E non per caso: dal punto di vista economico, la Turchia ha fatto con lui enormi passi avanti, e i turchi non l’hanno dimenticato. Ma sono le possibili ragioni del conflitto con il vecchio alleato a essere interessanti.

Gulen vive dal 1999 negli Usa, dove si è ritirato in volontario esilio dopo numerosi scontri con gli ambienti dei militari laici, che fino ai trionfi di Erdogan erano in grado di fare il bello e cattivo tempo in Turchia. Agli Usa, Gulen ha chiesto protezione e negli Usa il suo movimento si è ben radicato. La domanda è: perché gli Usa sono stati così tolleranti con una figura così ambigua? E un’altra domanda è: perché il sodalizio Erdogan-Gulen si è spezzato proprio adesso?

Il sospetto è che la deriva dei rapporti tra i due abbia qualcosa a che fare con le posizioni politiche dell’ultimo Erdogan: polemico con Israele, antagonista con l’Arabia Saudita per il primato nel mondo arabo sunnita, in buoni rapporti con l’Iran, autonomo nella gestione della crisi con la Siria, deciso a giocare in proprio sul mercato mondiale dell’energia, sfruttando la posizione strategica tra Est e Ovest della Turchia. E’ più che abbastanza per infastidire qualcuno, magari qualcuno nella posizione giusta per influenzare Gulen e i suoi. Erdogan vince. Ancora. Ma l’avvertimento dev’essergli arrivato forte e chiaro.

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Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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