SUAD AMIRY
LA PALESTINA VIVA

Suad Amiry

Suad Amiry, scrittrice palestinese.   «Paolo VI in Terra Santa? Ma certo. Era il 1964, avevo 13 anni e vivevo in Giordania. Come tutti gli scolari, andai lungo la strada ad applaudire il suo passaggio. Per me i grandi eventi di quegli anni sono stati due: quello e l’assassinio di Kennedy. E guardi che non scherzo: un sacco di palestinesi miei coetanei potrebbero dirle la stessa cosa». Con Suad Amiry le sorprese ammiccano in ogni frase. Ma su questo tema, con la visita di papa Francesco in Giordania, a Betlemme e a Gerusalemme alle porte… «Non sono religiosa, come tutti nella mia famiglia. E confesso un problema: non con le fedi ma con i fedeli, siano musulmani, ebrei, cristiani o buddisti, che sulla base del proprio credo cominciano a sentirsi migliori degli altri. Anzi: i migliori. Credenti o no, però, bisognerebbe essere molto stupidi per non riconoscere il valore delle religioni».

In Medio Oriente, poi…

«Ma dappertutto! E poi la visita, per il solo fatto di realizzarsi, manda messaggi importanti. Uno a noi palestinsi. Siamo un popolo psicologicamente disturbato, sempre in cerca di qualcuno che riconosca che esistiamo perché il diritto formale all’esistenza ci è stato tolto dall’occupazione di Israele. Francesco dice: no amici palestinesi, voi esistete davvero, siete qui, e io, il Papa, vengo a trovarvi. E poi, proprio perché non sono una musulmana praticante, posso dire che questo viaggio spezza l’eterna disputa per Gerusalemme tra musulmani ed ebrei. Ci sono cristiani a Gerusalemme, ci sono cristiani in Palestina. Non dobbiamo dimenticarlo mai».

I premi, si sa, vanno e vengono. Ma la giuria del Premio Nonino, presieduta da V.S. Naipaul (Nobel per la Letteratura nel 2001), ha fatto una buonissima cosa a scegliere proprio Suad Amiry. Perché lei, palestinese nata a Damasco (Siria), vissuta ad Amman (Giordania) e Beirut (Libano) e infine riapprodata in Palestina (a Ramallah, dove tuttora vive) nel 1981, racconta un Medio Oriente che pochi sanno vedere. E lo fa con un tono che è di pochi, anzi pochissimi, in cui umorismo e malinconia s’intrecciano senza sforzo e senza fine, e senza mai farci capire dove passa il confine.

Solo lei poteva dedicare un romanzo all’intifada del 2001-2002, e alla reazione israeliana, con un libro intitolato Sharon e mia suocera. Solo lei poteva presentare le donne di Golda ha dormito qui (Feltrinelli), che ridendo e piangendo vanno a vedere le case dove vissero bambine, ora occupate da famiglie israeliane e poste dietro confini impenetrabili. Storie di donne vere, amiche o parenti, anime coraggiose. Solo lei che fu tra l’altro l’unica donna a partecipare ai negoziati di pace tra palestinesi e israeliani che portarono agli accordi di Oslo (1993) e ora dice: «Delusa dalla politica? Certo. All’inizio eravamo davvero convinti di arrivare alla pace. Sempre in viaggio, riunioni, documenti, incontri al Dipartimento di Stato a Washington… E poi: un giorno intero a discutere di come armonizzare i diserbanti israeliani e palestinesi per non nuocere all’ambiente. Ma il tempo aiuta. Da giovane vuoi far vedere che ce la fai, sei dura. Oggi lascio libere le mie emozioni».

Come riesce a far sorridere di vicende spesso drammatiche? Vite stravolte, speranze difficili, anche guerre.

«È il mio carattere, ma non solo. Spesso i palestinesi sorridono quando devono raccontare le loro tragedie. C’è chi ci prende per pazzi ma molti popoli investiti dalla guerra, dalla povertà, dal razzismo, cercano di recuperare la propria umanità ridendoci sù. Pensi agli ebrei… La capacità di ridere è un’estrema risorsa su cui tutti contano. Quanto a far sorridere gli altri: se ci riesci, è molto più facile che ti aprano il loro cuore».

Le sue donne, così energiche, faticano meno a ridere delle proprie disgrazie che a ricordare il passato. Perchè?

«Noi palestinesi siamo prigionieri degli stereotipi. Chi simpatizza per noi pensa che siamo tutti eroi, chi ci trova antipatici che siamo tutti terroristi. Il nostro problema è diventare, e farci considerare, normali. Quando ho voluto raccontare la storia della mia famiglia mi sono accorta che non ne sapevo quasi niente. Ho dovuto indagare, come un detective. La mia generazione ha impiegato anni a capire che i nostri genitori non raccontavano nulla perché erano  traumatizzati dagli eventi del 1948: la guerra, i morti, la nascita di Israele, l’occupazione, la perdita delle case e della terra… Tacevano per proteggerci. La Siria è solo l’ultima dimostrazione che ogni guerra produce profughi, ma allora noi giovani cresciuti in esilio pensavamo dei nostri  padri e madri: forse potevano resistere, potevano restare. C’è voluto del tempo per perdonarli di colpe che non avevano. Scrivere per me è un modo per capire. Alla fin fine, è il mio modo per diventare normale».

Suad Amiry, lei è architetto e lavora nel campo della conservazione dei beni culturali…

«Sì, non dei monumenti ma dei villaggi, un centinaio tra i più poveri della Palestina. Da ventitre anni, ormai, serviamo le piccole comunità, cerchiamo di creare posti di lavoro, servizi, giochi per i bambini. E ristrutturiamo case. Facciamo belle case per 5 mila euro senza buttare giù nemmeno un muro. E non è beneficenza: se il proprietario mette mille euro altri mille li mettiamo noi, e così via a salire. Risultato: case più vivibili, integrate nell’ambiente e rispettose della nostra cultura e tradizione».

Tra Israele e palestinesi sono ricominciate le trattative. Lei ha fiducia?

«Ho fiducia solo nella storia. E la storia dimostra che tutte le occupazioni prima o poi finiscono. Non farà certo un’eccezione per Israele».

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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