IN RUSSIA NON E’ TERRORISMO ISLAMICO?

La stazione ferroviaria di Volgograd dopo l'attentato della kamikaze.

A proposito di terrorismo islamico: perché la strage di Volgograd (20 morti e 50 feriti), che in un brutale calcolo delle vittime vale il doppio di quella commessa in aprile alla maratona di Boston, passa via così facilmente? Perché il mondo non si mobilita? Perché non si rinnovano i proclami contro la violenza e chi la organizza?

La stazione ferroviaria di Volgograd dopo l'attentato della kamikaze.

Il paragone con Boston vale anche perché la matrice di due attentati è analoga: negli Usa due fratelli ceceni; a Volgograd una donna originaria del Daghestan, Oksana Aslanova, ex moglie di due terroristi uccisi dalle forze di sicurezza russe e in rapporti con Naida Asiyalova, altra donna kamikaze che in ottobre si era fatta esplodere nella stessa Volgograd, uccidendo 7 persone. Anzi: a ben vedere, è certamente più “islamica” questa strage che non quella di Boston, commessa da due ceceni sì, ma perfettamente integrati negli Usa e infatti insospettabili. O forse sospettabili di qualche disturbo mentale.

Domani, è sicuro, il Corriere della Sera non farà le paginate che fece per Boston e le trombette dell’americanismo cominceranno a dire che Putin qui, l’efferata violenza delle forze russe in Cecenia là… Tutto vero, per carità. Ma tutto raccontato come se gli americani in Iraq (pensiamo ad Abu Ghraib o alla presa di Falluja) avessero usato i guanti bianchi, come se gli Usa non avessero coperto le brutalità dell’Arabia Saudita in Bahrein, come se i loro droni non avessero ammazzato migliaia di civili innocenti in Pakistan, Afghanistan o Yemen… Ma in Iraq si combatteva, a sentire le trombette, la santa guerra contro il terrorismo islamico mentre in Cecenia e nel Caucaso (Daghestan compreso), dove i sauditi hanno investito miliardi nel sostegno all’islam radicale e dove sauditi erano alcuni capi-guerriglia molto noti come Al-Qattab  e Amir Abu Al-Walid (entrambi poi uccisi dai russi), c’era solo l’imperialismo grande russo del Cremlino.

Questo atteggiamento rivela che cosa sia diventato, dopo l’Afghanistan e a causa del neocolonialismo di George Bush e complici, il discorso sulla lotta al terrorismo: una favola per la propaganda, una scusa utile a far passare di tutto, dallo spionaggio urbi et orbi all’incapacità politica (pensiamo alla Siria, alle armi distribuite a capocchia, al panico che ora siano finite ad Al Qaeda) alla violenza praticata da amici e alleati ma tollerata senza batter ciglio quando, secondo gli interessi politici o economici, ci conviene.

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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