Da Baghdad – Lascio Baghdad dopo un breve soggiorno. E mentre passo gli infiniti controlli di sicurezza all’aeroporto (il passeggero “normale” deve arrivare allo scalo quattro ore prima del volo per farcela; il fortunato come me, che riesce a prendere la via dei diplomatici, se la cava con due ore e 8 controlli), rimetto a fuoco la solita sensazione. E cioè, che c’è un abisso tra la percezione delle cose di chi vive in Medio Oriente e la nostra. La domanda dunque è: noi non capiamo davvero o facciamo solo finta?
Ho parlato con un sacco di persone a Baghdad e nessuna ragionava in termini di Iraq, Siria, Iran, Israele… Certo, quando un’autobomba esplode nel tuo quartiere, non tendi a fare grandi voli geostrategici. Il fatto è che tutti si vedono parte di un unico calderone che si chiama Medio Oriente il cui bollore è determinato soprattutto da due elementi: il fondamentalismo islamico e gli interessi degli Usa. Che questi due fattori si mettano a rovesciare pentole in Siria o altrove è poi, tutto sommato, secondario.
Prendiamo gli 8 mila morti civili che si sono avuti quest’anno in Iraq, cifra che riporta il Paese ai livelli di violenza del 2007 (e a circa il doppio dei morti del 2012 e 2011): difficile non restare colpiti dal fatto che gli attentati in Iraq crescono puntualmente ogni volta che i ribelli anti-Assad in Siria subiscono una qualche battuta d’arresto. Si potrebbe tracciare un grafico, tanto il fenomeno è preciso. L’esempio di questo 2013: in agosto le truppe fedeli ad Assad riprendono il controllo di Aleppo, da quel momento in Iraq è una strage.
Per quanto si senta parlare, spesso e con convinzione, di democrazia e diritti, né l’uno (il fondamentalismo) né l’altro (gli interessi Usa) dei fattori in campo hanno il minimo riguardo per la sorte delle popolazioni coinvolte. Basta vedere ciò che succede in Siria: tanto rumore per le armi chimiche, che sono una schifezza ma alla fin fine hanno causato 1.500 morti, ma gli Usa distribuendo armi a casaccio a destra e a manca e i miliziani di Al Qaeda, con le autobombe nelle città, sono responsabili di molte più vittime. Oppure pensiamo ai droni americani e alle migliaia di civili che hanno fatto fuori in Pakistan, Afghanistan e Yemen.
Lo scontro di quei due fattori, però, sta ora prendendo un aspetto nuovo. E tutto per merito a causa non della politica ma, come piacerebbe al vecchio Marx, per l’economia. Entro il 2025/2030 gli Usa, grazie soprattutto allo shale oil (il cosiddetto petrolio da roccia) e allo shale gas, otterranno l’autosufficienza energetica e, per il petrolio, supereranno l’Arabia Saudita come volumi di produzione petrolifera. Che cosa succederà, allora? Gli Usa vorranno ancora impegnarsi mani e piedi in Medio Oriente, con tutti i problemi che ne derivano? Che effetti avrebbe un loro eventuale “disimpegno” nei confronti di Israele? Saranno sempre disposti a coprire la monarchia saudita e tutte le sue porcherie (per esempio, il sostegno all’estremismo islamico e i finanziamenti al terrorismo) o avranno magari persino interesse a che la posizione dell’Arabia Saudita traballi un po’? La ripresa del dialogo con l’Iran è forse già un segnale in questo senso? Non manca molto al 2025, forse qualcuno si sta già attrezzando.