HEZBOLLAH PERDE IL GENIO DEI COMPUTER

Hassa al-Laqis nella foto esposta durante i suoi funerali a Baalbek, la città libanese in cui era nato.

La sua storia di “genio del computer” di Hezbollah è finita verso la mezzanotte di qualche giorno fa, nel parcheggio sotto casa nel quartiere sciita della parte Sud di Beirut, dove si sentiva più protetto: Hassan al-Laqis, 53 anni, è morto così, crivellato dai colpi di un commando ben addestrato a uccidere. Per quattro volte Al-Laqis era scampato ad attentati simili, la quinta gli è stata fatale.

Hassa al-Laqis nella foto esposta durante i suoi funerali a Baalbek, la città libanese in cui era nato.

Certo, nelle foto esposte al funerale, Al-Laqis sfoggia la solita barba irsuta che vediamo di solito sul volto dei guerriglieri che popolano il Medio Oriente. E immaginiamo che le mani, che non si vedono, impugnino l’altrettanto solito kalashnikov. Ma l’uomo freddato a Beirut non era questo, era molto di più. Al-Laqis era stato uno degli “allievi”prediletti di Imad Mughniyeh, il comandante militare di Hezbollah che fu ucciso a sua volta a Damasco nel 2008 ma che era stato, con Hassan Nasrallah, tra i fondatori di Hezbollah, aveva “inventato” e perfezionato la tecnica degli attentati con le autobomba guidate da un kamikaze ed era stato tra gli organizzatori della strage dell’ambasciata Usa a Beirut (241 soldati americani morti più 58 francesi) nel 1983.

Al-Laqis aveva superato il maestro, e proprio in un settore che gli Usa, Israele e in genere le nazioni occidentali hanno sempre considerato un proprio dominio esclusivo: le tecnologie elettroniche. Lui stesso esperto di computer, Al-Laqis aveva costituito a Beirut una squadra di hacker che aveva dato molti grattacapi a Israele, intercettando trasmissioni e messaggi e arrivando persino a tracciare i voli dei droni israeliani e a “scaricare” le loro trasmissioni.

Nell’ottobre del 2012, un drone costruito e guidato dal gruppo di Al-Laqis aveva superato tutti i radar e le difese aeree di Israele arrivando a sorvolare anche l’impianto nucleare di Dimona, quello dove sarebbe custodita la bomba atomica. Solo dopo (quindi, presumibilmente, solo dopo che il drone aveva trasmesso le sue immagini alla base di Beirut) la contraerea israeliana era riuscita a intercettarlo e abbatterlo.

Si capisce bene perché, di fronte a un “omicidio mirato” così mirato, il pensiero di Hezbollah sia corso subito al Mossad, accusato in modo furibondo di aver ordinato l’assassinio. Però, sorpresa: le autorità di Israele, che non smentiscono mai nulla in questo campo e semmai rivendicano, hanno emesso un comunicato per dire che loro non c’entrano nulla. Comunicato che forse non ha alcun precedente in tutta la storia dello Stato ebraico.

Ammazzare un esperto leader di Hezbollah nella roccaforte sciita di Beirut non è cosa alla portata di tutti. Se non sono stati gli israeliani, c’è forse un solo altro servizio segreto che può realizzare un colpo simile: quello dell’Arabia Saudita. Che ha la tecnologia, gli appoggi locali e soprattutto l’interesse a farlo, visto che l’Hezbollah libanese è uno dei due capi dell’arco sciita che va dall’Iraq, via Siria, appunto fino al Libano e che i sunniti, finanziati dalle monarchie del Golfo, cercano con ogni mezzo di spezzare.

D’altra parte sono anni che in Libano si combatte una sorda guerra tra Hezbollah e i sauditi e i loro alleati libanesi. Basta pensare alla fine atroce dell’ex premier Rafiq al-Hariri, fatto saltare in aria nel febbraio 2005, o al recente attentato con autobomba contro l’ambasciata iraniana di Beirut. La morte di Al-Laqis, dunque, non è che il più recente capitolo di un conflitto di cui le bombe in Iraq e la guerra in Siria fanno parte e di cui sono solo l’aspetto più evidente.

 

 

 

 

 

Per quanto clamoroso, questo è stato solo l’ultimo di una serie di episodi. In luglio e in agosto i quartieri sciiti di Beirut erano stati colpiti da attenti con autobombe. Due settimane fa, due kamikaze affiliati ad Al Qaeda si sono fatti saltare nel territorio dell’ambasciata dell’Iran in Libano. E poi, in questi mesi, un lungo elenco di scontri armati, da Tripoli a Baalbek, con decine di morti e feriti.

L’uccisione di Al-Laqis è stata subito attribuita dai seguaci di Hezbollah ai servizi segreti di Israele. In effetti lo stile è quello, ma c’è stata una novità: Israele, che non smentisce mai e semmai rivendica, poche ore dopo l’attentato ha emesso un comunicato per negare qualsiasi coinvolgimento.

Difficile in ogni caso non vedere in quanto accade in Libano la mano dell’Arabia Saudita, che da molti anni (basta ricordare l’uccisione dell’ex premier Hariri…) contende all’Iran (sempre più indirettamente) e al suo alleato Hezbollah (sempre più direttamente) il controllo del Paese dei cedri. Ma sarebbe più preciso dire che lo scontro regionale tra sciiti e sunniti (di cui anche i fatti siriani e iracheni sono parte) è ormai approdato anche in Libano, Paese che negli ultimi anni pareva aver trovato, all’ombra del predominio di Hezbollah, una sua (perversa?) stabilità.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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