Immigrati, clandestini, centri di detenzione, arresti… Sorpresa: nella Russia che molti italiani assai poco stimano ricorre lo stesso vocabolario, e più o meno con gli stessi accenti, che ricorre dalle nostre parti. Le polemiche, latenti da tempo, sono esplose dopo che a Mosca e San Pietroburgo si è avuta una serie di episodi di intolleranza nei confronti di immigrati del Caucaso o dell’Asia Centrale. Il più grave nel sobborgo moscovita di Birjuliovo, dopo un omicidio di cui era sospettato un azero.
Che cos’è successo, allora? Konstantin Romodanovskij, capo del Servizio Federale per le Migrazioni, si è presentato in Parlamento per dire due cose: che non sarà introdotto un regime di visti per i cittadini delle ex Repubbliche sovietiche che vogliono entrare in Russia; e che saranno presi provvedimenti drastici contro gli immigrati “illegali”. La legge russa, emendata e resa più severa nel 2012, prevede che il migrante irregolare, quando intercettato, venga espulso e perda ogni diritto a entrare in Russia (anche regolarmente) per dieci anni. Un provvedimento che forse non basta più, se le statistiche, forzatamente inaffidabili, parlano di circa 10 milioni di immigrati irregolari, su una popolazione totale di 143 milioni di persone.
Non basta più, a quanto pare. E Romodanovskij ha promesso il pugno di ferro. Che consisterà in una revisione del sistema di quote per l’ammissione in Russia di lavoratori esteri e nella costruzione di una serie di centri per la detenzione degli immigrati clandestini in attesa di espulsione. I nostri Cie, insomma. Quei Cie che la Russia, mai immune alla xenofobia, deve ancora costruire (lo stesso Romodanovskij ha ammesso che l’obiettivo di averli pronti in ogni regione per l’inizio del 2014 è impossibile da raggiungere) e che noi invece abbiamo attivato da diversi anni.
Il tutto con una fondamentale differenza: il Parlamento russo si avvia a votare una legge per inasprire le pene a carico dei datori di lavoro russi che impiegheranno immigrati irregolari. Dalle multe si passerà al carcere, con il che la Russia, la tanto deprecata Russia, ci sorpassa e ci saluta in termini di civiltà giuridica. Resta una cosa, per concludere: è stato lo stesso presidente Putin a criticare in Tv la proposta, peraltro assai popolare presso l’opinione pubblica russa, di introdurre un regime di visti per i cittadini delle ex Repubbliche. Con il suo stile un po’ rude ha detto: “La corruzione che vediamo nei mercati e nelle strade si trasferirebbe ai confini”.
C’è chi sostiene che Putin, impegnato in una dura battaglia diplomatica per tenere i Paesi dell’Asia Centrale legati a Mosca mentre imperversa l’offensiva dei dirigenti della Cina per attrarli nell’orbita politica ed economica di Pechino, tutto vuole tranne che inimicarsi i Governi di quei Paesi. Ma c’è anche chi, come l’analista politico Dmitry Oreshkin, ha detto ciò che molti, anche qui da noi, si rifiutano di accettare: e cioè, che senza i lavoratori stranieri il sistema economico russo andrebbe in crisi.