OBAMA, AL QAEDA E UNO STRANO ALLARME

Barack Obama sullo sfondo del Medio Oriente.

Sono passati ormai sei giorni da quando gli Usa hanno lanciato un clamoroso e preoccupato allarme, chiudendo 22 tra ambasciate e consolati nei Paesi islamici (Irak, Libia, Egitto, Yemen ed Emirati Arabi Uniti compresi) e mettendo in guardia i propri cittadini dai viaggi all’estero. Il Dipartimento di Stato aveva puntato l’indice sullo scorso fine settimana, considerato cruciale, ma l’allerta resterà in vigore fino alla fine del mese, quindi lo stato d’ansia non può certo dirsi concluso.

Barack Obama sullo sfondo del Medio Oriente.

Era dai tempi di Bush che non si assisteva a una simile fibrillazione, che tra l’altro contraddice in maniera clamorosa quanto Barack Obama aveva sostenuto nel Discorso sulla sicurezza nazionale tenuto il 24 maggio, una decina di giorni dopo l’attentato alla maratona di Boston. In quel discorso, il Presidente aveva sostenuto che Al Qaeda era ormai incapace di colpire a livello internazionale e che le vere minacce, per gli Usa, venivano dall’interno (come appunto nel caso di Boston) e non dall’esterno. Ora si sostiene il contrario e si cita specificatamente Al Qaeda come nemico non solo ancora attivo ma capace di portare colpi micidiali, magari con l’ormai famoso esplosivo che non può essere rilevato. E c’è chi, come Bruce Riedel, un veterano della Cia che oggi dirige il Brookings Intelligence Project, non esita ad affermare che “Al Qaeda non ha mai avuto tanti affiliati nel mondo arabo come oggi”.

Che cosa può essere cambiato, in appena un paio di mesi? Gli organi di sicurezza americani puntano il dito sulla Primavera araba che, nel tentativo di cacciare i dittatori, ha aperto le porte al caos e reso più “morbidi” i controlli sui gruppi dell’estremismo islamico. Irak, Siria, Yemen e Mali vengono citati come rampe di lancio dei futuri attacchi e la penisola araba come l’incubatrice dei nuovi strateghi del terrore, per primo il misterioso specialista in esplosivi Ibrahim al Asiri.

Lo scenario ha un’innegabile logica generale. Osservato più da vicino, però, mostra più di una crepa. In Irak e nello Yemen i governi sono alleati degli Usa. Il Mali è di fatto controllato dalla Francia e in Siria sono gli Usa ad aiutare e armare i ribelli, ormai pesantemente infiltrati dai qaedisti. Nella penisola arabica, re e sceicchi sono partner fedeli della Casa Bianca. E proprio lì, in Bahrein, gli Usa hanno permesso all’esercito dell’Arabia Saudita di stroncare la locale Primavera. Com’è possibile che proprio dove sono più presenti e influenti gli Usa ora registrino un tale fiorire di Al Qaeda?

L’unica, concreta reazione americana alla minaccia si è finora avuta nello Yemen, con una serie di attacchi di droni contro le basi dei potenziali terroristi. Ma si tratta, se è consentito dirlo, di nulla di speciale, nulla che corrisponda a una situazione d’emergenza: prima di queste, nel 2013, le missioni dei droni nello Yemen erano state già una quindicina, e ben 40 l’anno scorso.

Al di là della complessiva turbolenza del mondo arabo, soprattutto nel Maghreb, c’è quindi qualcosa di strano in questo allarme lanciato da Obama. Un allarme che, più che la reazione a una minaccia, sembra un manifesto, l’annuncio di un diverso orientamento delle strategie Usa. L’Obama di questi tempi pare aver riscoperto un certo orgoglio nazionale (si vedano anche le decisioni pro-Apple nella lite giudiziaria con Samsung e la polemica con la Russia sul “caso Snowden”) che non gli era tipico. Questo allarme, oltre e rinsaldare lo spirito patriottico intorno alla Casa Bianca, può servire anche a convincere il mondo che la rete spionistica americana ha un fine alto (lottare contro il terrorismo) che riguarda tutti. E che alla fin fine è meglio essere spiati dagli Usa che colpiti da Al Qaeda.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo dell’8 agosto 2013

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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