GUANTANAMO E’ PIU’ FORTE DI OBAMA

Il trasferimento di uno dei detenuti di Guantanamo in sciopero della fame.

Il discorso che Obama ha tenuto alla National Defense University di Washington era stato annunciato con enfasi, e pubblicizzato come il momento decisivo per la definizione di una nuova strategia americana contro il terrorismo.  Nei fatti, è servito soprattutto a confermare la natura sotto questo aspetto sostanzialmente ambigua della presidenza Obama: la presidenza di un leader insignito da subito del premio Nobel per la Pace ma poi costretto a ricorrere allo strumento della guerra con un’intensità e una frequenza nota a pochi dei suoi predecessori.

Il trasferimento di uno dei detenuti di Guantanamo in sciopero della fame.

Così Obama ha criticato l’uso indiscriminato dei droni, gli aerei da bombardamento guidati a distanza che tante vittime civili hanno provocato in Afghanistan e in Pakistan, confermando però che i micidiali velivoli resteranno in azione, anche perché dal 2009 (anno delle loro prime incursioni) “hanno contribuito a salvare molte vite”. Un’unica condizione è stata posta al loro impiego: agiranno solo quando vi sarà la “quasi certezza” di colpire effettivamente i terroristi. In quel caso poco importerà se cadranno anche cittadini Usa impegnati in attività ostili: per la prima volta, infatti, la Casa Bianca ha ammesso che negli anni scorsi 4 americani diventati terroristi sono stati falciati dai colpi dei droni.

Allo stesso modo Obama si è espresso nei confronti del super-carcere di Guantanamo, sull’isola di Cuba, aperto nel 2002, arrivato a detenere 700 persone e oggi impegnato per soli 166 detenuti, oltre 100 dei quali impegnati in un duro sciopero della fame. Obama, nel discorso, ha detto che “Guantanamo non avrebbe mai dovuto essere aperto”, confessandosi però incapace di chiuderlo come aveva promesso all’epoca della prima elezione. Il Presidente vorrebbe processare una parte dei detenuti e trasferire gli altri in Paesi alleati come lo Yemen, di cui peraltro molti di loro sono originari. Un’impresa di fatto impossibile. La prima cosa è ostacolata dall’incerto status giuridico dei prigionieri (non sono criminali comuni né prigionieri di guerra, non possono essere processati nei tribunali comuni e nemmeno in quelli militari), la seconda dall’opposizione del Congresso a maggioranza repubblicana, che in Guantanamo ancor vede un simbolo da difendere dell’era Bush. Comunque sia, il carcere resterà dov’è e com’è, costi compresi: per il prossimo anno il Pentagono ha chiesto 450 milioni di dollari solo per i lavori di manutenzione a adeguamento.

La parte più interessante del discorso è stata forse quella in cui Barack Obama ha dichiarato Al Qaeda ormai incapace di colpire  “gli Usa e i Paesi loro alleati” con la violenza di un tempo, e ha invitato piuttosto a guardarsi dal terrorismo interno. Un monito in cui certo riecheggia il fresco e drammatico ricordo della strage della maratona di Boston, ma anche l’esigenza di fornire un’adeguata “copertura” politica all’ormai prossimo ritiro totale dall’Afghanistan. Una guerra, quella afghana, ormai del tutto impopolare presso i cittadini Usa, che vogliono riportare a casa i loro “ragazzi” in uniforme. Una spedizione, però, che nessuno potrà considerare vittoriosa: ecco perché può tornare utile spiegare il ritiro anche con una serie di mutate esigenze strategiche.

Più in generale, il discorso alla National Defense University ha ribadito il paradosso dei presidenti americani: che possono essere inclini alla pace quanto vogliono (e Obama di certo lo è) ma non possono rinunciare allo strumento militare. Una dura condizione loro imposta non tanto dalle decisioni politiche ma piuttosto dalla natura della potenza Usa e dall’esposizione e distribuzione mondiale dei loro interessi.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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