CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE, LA BEFFA

Una processione a Gerusalemme.

Un bel pezzo di Roberto Toscano, oggi sulla Stampa, intitolato “La via obbligata per i cristiani d’Oriente”. L’autore spiega bene le ragioni per cui i cristiani del Medio Oriente (in particolare ieri in Irak e oggi in Siria) sono “freddi” nei confronti dei rivolgimenti teoricamente pro-democratici, fino a mostrare (vedi soprattutto la Siria) aperte preferenze per lo status quo. Ragioni che stanno nell’esperienza storica e nel timore odierno che le rivoluzioni, nate per ottenere maggiore democrazia, facciano alla fine prevalere “maggioranze islamiche, spesso anche radicalmente islamiste”, con tutto quel che di male ne consegue per le minoranze cristiane.

Una processione a Gerusalemme.

Toscano (ex ambasciatore d’Italia in capitali importanti) distingue bene tra islam militare e islam politico. E ricorda quanto scritto dal Financial Times in un editoriale del 1 aprile: “Troppi cristiani restano attaccati a un regime come quello siriano che sembra offrire un ombrello di sicurezza contro l’avanzata di islamisti che … Il loro timore è logico… ma non è logico, per placare questa paura, allearsi con una versione araba del fascismo”.

Ho ripreso volentieri la citazione del Financial Times perché in poche righe rappresenta alla perfezione lo scoglio su cui i ragionamenti sui cristiani d’Oriente vanno regolarmente ad arenarsi. Anche quello di Toscano, che conclude: la salvezza dei cristiani d’Oriente arriverà solo dalla democrazia (e non dall’alleanza con questo o quel tiranno); e per ottenerla, essi hanno solo la strada dell’alleanza con “le componenti più moderate e disposte al dialogo dell’islam politico”. Tutto giusto, per carità. Ma perché si chiede alle religioni di fare anche la parte della politica? In tutto questo, la politica che fa? Quali responsabilità si prende? Quali azioni progetta?

Il Financial Times fa in fretta: chiede ai cristiani di essere “duri e puri” per tutti. Cioè: i cristiani devono respingere i fascismi mediorientali con cui i finanzieri di Wall Street, invece, fanno tranquillamente affari. Il regime dell’Arabia Saudita non è meno fascista di quello degli Assad ma gli Usa hanno con esso trattati commerciali e diplomatici di grande importanza. Così come negli anni Ottanta li avevano con il non meno fascista regime di Saddam Hussein in Irak e, prima ancora, con il fascista regime dell’Iran dello Shah. E dunque?

Questo significa scaricare sulle religioni il peso di questioni la cui risoluzione spetta invece alla politica. E che, come tali, si offrono alla lotta degli interessi nazionali, con tutte le contraddizioni che essi comportano. Dal punto di vista di un cristiano, oggi, è molto meglio vivere in Libano, dove pure è forte l’Hezbollah che gli Usa hanno sulla lista nera dei movimenti terroristici, che in Arabia Saudita o in Bahrein o in Pakistan on in Afghanistan,  Paesi alleati degli Usa e riveriti e rispettati da tutto mondo Occidentale. E prima della guerra, livelli economici a parte, non sono sicuro che fosse più facile, per un arabo cristiano, vivere in uno Stato democratico come Israele che in una dittatura fascista come la Siria.

Il problema sta nella “narrazione” sulla democrazia che da un po’ di anni ci facciamo. E non penso alle buffonate della destra italiana, ma  a ciò che arriva dalla capitale dell’impero, gli Usa. Prendiamo l’Irak o l’Afghanistan, gli ultimi due Paesi “liberati”: ci vogliamo davvero raccontare che lì c’è la democrazia? Se la raccontiamo così, è così, allora “democrazia” equivale a “voto”. si vota, quindi c’è la democrazia. Anche se il voto è corrotto, condizionato, non affidabile, come avviene in Irak e in Afghanistan per le ragioni che tutti conosciamo.

Questo, va da sé, semplifica le cose alla politica. Amplia il numero dei Paesi “accettabili”, crea un ottimo alibi. Ma non esiste democrazia vera che non garantisca, tra l’altro, la libertà di religione. Se Irak e Afghanistan (e l’Egitto, ma non la Tunisia) scrivono nella Costituzione che la shari’a (legge islamica) è il fondamento della legislazione dello Stato, introducendo così fin dalle origini una palese discriminazione di carattere religiosa, non c’è dialogo con l’islam moderato che tenga. E se le democrazie vere, dagli Usa in avanti, non intervengono su questo, diventa poi ipocrita chiedere ai cristiani d’Oriente di rinnegare anche la poca quiete che in secoli di sofferenza e pazienza sono riusciti a ritagliarsi all’ombra di questa o quella dittatura.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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