IRAK 2003 – SIRIA 2013, LA STESSA MUSICA

Militanti dell'Esercito libero siriano.

Si sente “puzza” di 2002-2003, quando gli Usa di George Bush, con la complicità degli inglesi di Tony Blair, inventarono ogni sorta di scusa e di menzogna pur di attaccare l’Irak di Saddam Hussein. La stessa cosa sta succedendo con la Siria del dittatore stragista Bashar al Assad.

Militanti dell'Esercito libero siriano.

Non a caso si torna a parlare di “armi chimiche” e a insinuare, a voce sempre più alta, che Assad avrebbe usato il gas Sarin contro il suo stesso popolo, in almeno due occasioni. Gas o non gas, Assad è un tiranno che deve lasciare il potere. Ma non è questo il punto. Il fatto è che l’impiego di armi chimiche non si può nascondere: lascia segni pesanti sulle persone, ovviamente, ma pure sul terreno. Se i ribelli fossero stati attaccati coi gas, non avrebbero fotografato o filmato i loro morti? Non avrebbero inviato al mondo le immagini delle città devastate? I servizi segreti della Turchia e dell’Arabaia Saudita, molto ben infiltrati ormai in Siria, non avrebbero fornito informazioni tali da spingere le potenze occidentali, primi fra tutti gli Usa, a prendere provvedimenti? Quando Saddam Hussein le impiegò contro l’Iran, nella guerra del 1980-1988, tutto il mondo lo seppe. Non successe nulla, perché gasare gli iraniani freschi di rivoluzione khomeinista andava bene a tutti, ma fu comunque impossibile tenere nascosta la cosa.

Ovvio che sì. E invece no, non succede. La ragione è semplice: le armi chimiche non sono state usate. Cosa che la stampa occidentale, pigra e conformista, si guarda bene dal dire. Molto più comodo ripetere le versioni distribuite dalle cancellerie. O ripubblicare pari pari i comunicati ufficiali della difesa di Israele, che per la seconda volta in tre giorni, e per la terza in tre mesi, ha colpito con un raid aereo sul territorio siriano.
Israele dice: distrutti i carichi di missili che l’Iran voleva far pervenire agli Hezbollah del Libano attraverso la Siria. E questo i giornali puntualmente scrivono. E’ del tutto possibile che le cose siano andate davvero così, ma non è che i ministeri israeliani siano (sempre) la bocca della verità. Tanto più che i raid sono stati massicci (16 aerei da combattimento, secondo fonti libanesi) e hanno colpito anche la roccaforte di Assad, la capitale siriana Damasco, in un’area prossima all’aeroporto (secondo fonti dei ribelli siriani).
Ma siamo proprio sicuri? E’ vero che la Siria è l’unico canale via terra per collegare l’Iran al Libano. Ma quale convenienza avrebbe Assad ad attirare su di sè le attenzioni armate di Israele? Per di più, mentre il suo potere è così a rischio? A dispetto delle dichiarazioni roboanti, la Siria degli Assad (padre e figlio) e Israele hanno vissuto in (relativa) pace per tutto il periodo successivo alla Guerra dei Sei Giorni (1967). Israele si è tenuto le alture del Golan, strappate appunto allora alla Siria; e gli Assad si sono ben guardati dal tentare alcunché per riprendersele, ben consci della propria inferiorità militare e diplomatica nei confronti dello Stato ebraico. Anche perché, nel frattempo, e per due decenni abbondanti, gli stessi Assad erano riusciti a mettere sotto tutela l’intero Libano. E proprio adesso, nel momento per lui più difficile, Assad dovrebbe mandare a monte quel confortevole status quo?
D’altra parte, l’interesse di Israele sarebbe, semmai, di appoggiare Assad, non di attaccarlo. Proprio per le ragioni di cui sopra. E anche perché è ormai chiaro che al regime di Assad non succederà una democrazia all’inglese ma, con ogni probabilità, un lungo periodo di “torbidi” e di violenze. E poi, se va bene, un qualche regime fantoccio gradito all’Occidente. Una prospettiva irachena, insomma, che almeno in un primo tempo creerebbe grossi problemi a Israele e alla sua sicurezza, soprattutto nel Golan.
E’ forte dunque il sospetto che tutto serva a costruire artificialmente un quadro che consenta agli Usa un intervento militare in Siria. Teso in primo luogo a sventare la prospettiva di un Paese dominato dai gruppi dell’estremismo islamico, con tutti i rischi che ciò comporterebbe per la sicurezza del Medio oriente, in particolare, per quella dei Paesi  alleati degli Usa, Giordania e Israele in primo luogo. Ma anche a completare il cordone sanitario intorno all’Iran e a contenere le ambizioni della Turchia di Erdogan, più che decisa a soppiantare l’Arabia Saudita nel ruolo di modello dell’islam sunnita.
Non manca, in questo quadro, lo sfruttamento delle stragi di cittadini siriani, ormai quasi quotidiane. I massacri di regime a Banias (120 civili uccisi dalle milizie di Assad) e al Bayda (70 morti) sono stati abbondantemente pubblicizzati su Internet dai ribelli e condannati dalle diplomazie (compresa quella italiana). Ma le stragi compiute dai ribelli a Damasco con gli attentati e le auto-bomba passano sotto silenzio, come se quelle altre centinaia di morti fossero siriani di serie B. A quanto pare, le lezioni dell’Afghanistan e dell’Irak non ci sono ancora bastate.
Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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