AFRICA, ISLAM E TERRORISMO: LE RADICI (1)

Un gruppo di tuareg ribelli del Mali.

L’intervento militare della Francia nel Mali, e le operazioni in Somalia, arrivano dopo una lunga fase in cui il terrorismo islamico che s’ispira ad Al Qaeda, nel decennio 1995-2005 radicato soprattutto in Algeria, è riuscito con successo a saldarsi ai movimenti radicali islamici autoctoni dell’Africa subsahariana, fino alla Nigeria e alla Somalia, e spesso, com’è appunto successo con la rivolta indipendentista dei tuareg maliani, a soppiantarli nel controllare e dirigere le rivolte.

Un gruppo di tuareg ribelli del Mali.

Stiamo parlando di una regione di grande importanza strategica e di notevoli risorse minerarie, dal gas al petrolio all’uranio. La Francia ha forti interessi economici nell’area ma non è certo l’unica. Così, tra politica ed economia, nell’ottobre 2012 le Nazioni Unite hanno varato la Risoluzione 2071, che appunto prevede e autorizza un intervento militare.

Per capire meglio come tutto ciò sia potuto succedere, però, sarà bene ricordare alcune condizioni di fondo. A partire dal fatto che  Islam è profondamente radicato in Africa: i primi musulmani arrivarono in Etiopia quando l’islam non era ancora affermato nella stessa penisola arabica, proprio per sfuggire alle persecuzioni degli arabi pagani. Il che naturalmente è anche la prima dimostrazione di una vicinanza geografica che ha poi sempre avuto molta importanza. Già nel 709, con la sola eccezione della città-fortezza di Ceuta, le armate islamiche avevano il controllo dell’intero Nord-Africa e nel 710, da lì, lanciarono l’offensiva verso la penisola iberica. La religione e la cultura islamica, oltre naturalmente al colonialismo arabo, hanno contribuito in modo significativo a definire l’Africa per ciò che essa è. Oggi i musulmani sono tra il 45 e il 50% di tutti gli africani (mentre i cristiani sono tra 30 e 35%), cioè vive in Africa il 25% di tutti i musulmani del mondo.

Questo serve anche a dire che abbiamo sbagliato a guardare all’islamismo radicale e, poi, al terrorismo islamico come a un fenomeno del Medio Oriente, un fenomeno in qualche modo chiuso in una regione, definito da una serie di limiti geografici e culturali. Certo, prendevamo nota delle sue “incursioni” altrove, persino in altri continenti, ma in fondo eravamo convinti che se avessimo risolto il problema in Medio Oriente lo avremmo risolto ovunque.

Naturalmente il forte radicamento storico dell’islam in Africa non sarebbe certo bastato, da solo, a generare quella fioritura di violenza di cui in questi decenni abbiamo avuto testimonianze quasi quotidiane. Tanto più che l’islam africano ha storicamente caratteristiche proprie (influenza sufi, per esempio, o la perdurante influenza dei culti locali) che lo rendono poco incline all’estremismo religioso. Serviva altro. Ma che cosa, in particolare?

1. continua

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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