LA TURCHIA CERCA GLORIA IN SIRIA

Un carro armato turco avanza verso la frontiera con la Siria.

Dopo infinite stragi e violenze orrende, il regime di Bashar al Assad potrebbe cadere per un singolo colpo di mortaio che, sparato per accidente o per provocazione, ha ucciso cinque persone in Turchia. Se ciò accadesse, la storia manifesterebbe ancora una volta un senso crudele dell’ironia, ma la politica dimostrerebbe di avere una sua cinica logica.

Un carro armato turco avanza verso la frontiera con la Siria.

Da molti mesi, infatti, l’opinione pubblica mondiale è convinta che le grandi potenze nulla facciano per fermare la repressione degli sgherri di Assad. Nello stesso tempo, però, le potenze accusate d’inerzia aiutano più o meno sotto banco gli insorti: armandoli, fornendo loro un prezioso supporto di intelligence, con ogni probabilità addestrandoli anche alla guerriglia. Ieri su tutte le prime pagine campeggiavano i titoli sui cinque morti in Turchia, mentre pochissime pagine interne facevano cenni, peraltro ridottissimi, ai 50 morti causati, ad Aleppo, da due autobomba piazzate nei pressi di un circolo di ufficiali dell’esercito di Assad.

Si tratta, appunto, di una scelta politica: al posto di soffocare la repressione, intervenendo contro Assad, si collabora (senza dirlo, di nascosto, ma in modo evidente) con la rivolta. Ci vuole più tempo, la popolazione paga un prezzo più alto, ma il rischio di una crisi internazionale è minore e comunque prima o poi il risultato arriva: neppure Aleppo e Damasco sono più sicure per i fedeli di Assad, e il logorio della lotta armata ha ridotto il suo esercito da 180 mila a meno di 100 mila uomini.

In una simile strategia, il colpo di mortaio contro la Turchia potrebbe avere molte conseguenze. Nell’ipotesi più estrema potrebbe provocare un drastico giro di vite militare contro la Siria: la Turchia è un Paese della Nato e l’Alleanza s’impegna per statuto a intervenire in difesa dei Paesi membri eventualmente aggrediti. La potenza di fuoco della Nato, combinata con la rivolta interna, farebbe cadere Assad in un baleno. Ma ci sono le elezioni negli Usa, l’Europa si dibatte nella crisi economica, Cina e Russia sono sempre dalla parte del dittatore siriano. Nessuno sente il bisogno di un’altra guerra aperta.

Il premier turco Erdogan.

C’è però un’altra possibilità, più pratica: aumentare la pressione sulla Siria senza dichiarare una guerra. E qui entra in ballo la Turchia, provocata in modo così puntuale (e infatti la diplomazia di Assad si è precipitata a scusarsi per i cinque morti) da rendere sospetto persino quel colpo di mortaio. Il governo di Erdogan (ricordiamo le polemiche con Israele) smania per affermare non solo il proprio ruolo di potenza regionale, ma anche quello di Paese islamico che «ce l’ha fatta», con un’economia dinamica e un prestigio che la fa sedere al tavolo dei grandi.

Uno scontro con la Siria, limitato nel tempo ma sotto gli occhi del mondo, sarebbe per la Turchia una manna politica: con il cambio di regime a Damasco la sua potenza diverrebbe evidente, tanto più se confrontata con l’isolamento e il declino economico dell’Iran. Intervenendo a proteggere i musulmani sunniti siriani, oppressi dal regime alawita degli Assad, sarebbe benemerita agli occhi dell’islam, sunnita appunto al 90%. Togliendo le castagne militari dal fuoco di Usa, Israele, Inghilterra e Francia otterrebbe duratura gratitudine dai Paesi che contano. Ultimo, ma per Erdogan non proprio ultimo, una vittoria sul campo potrebbe placare gli umori del sempre irrequieto esercito turco, che con il suo milione di soldati è il più grande della Nato dopo quello Usa. È questa la strada su cui siamo avviati. Un altro segnale di quanto stiano cambiando gli equilibri del mondo.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 5 ottobre 2012

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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