Era stato così facile immaginare che il futuro della Fiat non sarebbe più stato in Italia e nemmeno in Europa, che lo aveva immaginato, più di un anno e mezzo fa, persino il sottoscritto: http://www.fulvioscaglione.com/2011/02/14/fiat-il-futuro-e-obama-dicono-usa/. A due Governi (il defunto Berlusconi IV e il vivente Monti I), invece, la notizia è giunta improvvisa e inaspettata in questi giorni, quando Sergio Marchionne ha annunciato che il progetto Fabbrica Italia era da considerarsi superato e quindi annullato.
Val la pena ricordare che, promettendo Fabbrica Italia (e relativi, immaginari, 20 miliardi di investimenti in Italia), la Fiat è riuscita a ottenere una revisione dei contratti collettivi di lavoro (in peggio per i lavoratori, ovviamente) e, con essa, l’espulsione dalle fabbriche del maggior sindacato del Paese. Più un ricorso importante ai licenziamenti e alla cassa integrazione, con relativi costi per lo Stato e quindi per la collettività.
E’ normale che un’Azienda che produce automobili in Europa e proprio in Europa vede ridursi di anno in anno la propria quota di mercato (a luglio 2012 un bell’1,1% in meno rispetto al luglio 2011, dal 7,5 al 6,4% del totale; la Fiat è settima nella classifica continentale), mentre vende molto bene in America del Sud e bene in America del Nord, faccia due conti e pensi: ma perché dovrei restare qui? Quello che non è normale, a parte l’idiozia della politica, è che anche questo ci venga venduto come una conseguenza della crisi economica.
Mentre Fiat cala, altri crescono, in particolare Volkswagen. Come si dice: è il mercato, bellezza. Ma poi, se tutto dipendesse da questi anni di vacche magre, dovrebbe succedere più o meno questo: si vendono meno automobili in generale (cosa che infatti succede: nel 2012 le immatricolazioni in Europa sono state circa il 10% in meno che nel 2011), ma le posizioni e le quote di mercato restano più o meno immutate.
Invece no: se la Fiat fosse la Juventus, sarebbe già ufficialmente scesa in serie B, almeno in Europa. Una ragione c’è e la spiega bene un rapporto di Polk.com, il sito specializzato nelle analisi del mercato automobilistico internazionale, intitolato The Challenges for the European Automotive Industry (Le sfide per l’industria europea dell’automobile). In sintesi: negli ultimi 15 anni, i produttori europei di “utilitarie” (termine tutto italiano ma buono per capirsi) hanno perso più del 10% della loro quota di mercato. Mentre non hanno avuto problemi, e in qualche caso sono cresciuti, i produttori di auto “premium” (così le definisce il rapporto), veicoli di gamma medio-alta o alta, o addirittura di lusso: in virtù della qualità della produzione sono riusciti a piazzarsi bene sul mercato mondiale, riducendo la dipendenza da quello europeo che nel frattempo veniva condizionato dallo sbarco massiccio dei produttori stranieri, asiatici soprattutto.
Il problema Fiat è tutto qui. Le utilitarie, oggi, c’è chi le fa altrettanto bene. E le vetture di una certa classe le fanno meglio gli altri. Il resto, compresi i predicozzi di Marchionne sull’impresa e sul libero mercato, sono poco più che frottole buone per abbindolare uno Stato e una classe politica che, nel caso Fiat, ha dato il peggio di sé. E l’idea che inventare e produrre nuovi modelli in tempi di crisi sia una follia, più volte ribadita da Marchionne, è invece una dichiarazione di impotenza.