PAKISTAN, A MORTE LA BAMBINA

Un gruppo di donne e bambine pakistane.

Dopo più di quarantott’ore dall’arresto di Rimsha Masih, la ragazzina cristiana accusata di aver bruciato pagine del Corano, arrestata per blasfemia e quindi passibile di pena di morte, il presidente del Pakistan Asif Ali Zardari ha chiesto di essere informato sul caso, da lui stesso definito “grave”.

Un gruppo di donne e bambine pakistane.

Nel frattempo, i contorni della vicenda si sono fatti un poco più chiari: Rimsha non ha 11 anni come si pensava ma “addirittura” 13; non è affetta da sindrome di Down ma da una forte disabilità mentale; e l’arresto magari le procurerà la pena capitale ma nel frattempo l’ha con ogni probabilità salvata dal linciaggio da parte di una folla inferocita di musulmani, che non avevano visto nulla ma erano più che disposti a regolare i conti, tanti contro una bambina disabile sola, sul posto. In più, non è chiaro a nessuno se Rimsha abbia dato fuoco a quelle carte (che altri, peraltro, avevano già gettato tra i rifiuti) o se si sia fatta incuriosire dalle fiamme. In ogni caso, non si trattava di pagine del Corano ma di una sorta di antologia del testo sacro dell’islam.

Se non ci fossero tanti, troppi precedenti (compreso quello di Asia Bibi, che ha appena completato il terzo anno di prigionia), non riusciremmo a credere che di fronte a un’aberrazione di questo genere il presidente Zardari, invece di intervenire senza esitare, chieda notizie, magari agli stessi funzionari ai quali la solita denuncia senza prove è bastata per sbattere in galera una bambina disabile.

Il presidente del Pakistan Zardari.

Se crede, signor Presidente, oltre a quelle appena riportate, possiamo darle noi altre notizie. Nell’area di Islamabad denominata Umara Jaffar, la stessa in cui è stata arrestata Rimsha, già centinaia di famiglie di cristiani sono state costrette ad abbandonare le proprie case per paura degli estremisti islamici. Nel suo pur grande Paese, signor Presidente, succede che centinaia di famiglie indù preferiscano attraversare il confine con l’India, e trasformarsi in immigrati clandestini a vita, visto che l’India non ha una legge nazionale sui richiedenti asilo e rifugiati, piuttosto che vedere le proprie figlie rapite, convertite a forze e costrette a sposare uomini musulmani. E le minoranze, così abbandonate all’arbitrio dei violenti, finiscono per colpirsi l’un l’altra nel tentativo di salvarsi: ecco spiegata l’iniziativa di alcuni parlamentari induisti dell’India, che al loro Parlamento hanno chiesto di proteggere i rifugiati indù ma non quelli cristiani. Insomma, signor Presidente, glielo chiediamo con molto rispetto e senza ironia: davvero Lei sa così poco di quel che succede nel suo Pakistan?

Pur essendo assai più drammatico, in certe dinamiche il caso di Islamabad ricorda quello della base di Usa di Bagram, in Afghanistan, dove alcune copie del Corano furono bruciate per sbaglio con l’immondizia. Il comandante della missione Isaf, John Allen, chiese subito scusa ma vi furono ugualmente manifestazioni violente e 8 morti.

Nell’uno come nell’altro caso, si tratta con ogni evidenza di un equivoco o, al più, di uno sgradevole incidente. Non stupisce che gli estremisti siano pronti a soffiare sui sentimenti e sulla disinformazione della popolazione per sollevarla e manipolarla. Indigna, invece, che i vari Karzai (Afghanistan) e Zardari (Pakistan) in questi momenti non trovino mai il coraggio di dire chiaramente ai loro cittadini come stanno le cose, senza tanti giri di parole. Di far capire che quando non c’è colpa, non c’è colpa e basta. Di andare contro una minoranza fanatica che, di aggressione in aggressione, diventa sempre più corposa e sicura di sé. Tra la diplomazia e la paura il discrimine a volte è sottile ma sempre chiaro. La terza via si chiama indulgenza, se non complicità. Spieghino loro a quale interpretazione debba affidarsi quest’Occidente a cui pure è legata tanta parte delle loro fortune politiche.

Pubblicato su Avvenire del 21 agosto 2012

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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