1972, SCACCO MATTO ALLA GUERRA FREDDA

Boris Spassky (a sinistra) e Bobby Fischer durante il "match del secolo" del 1972 a Reykjavik.

L’11 luglio del 1972, alla prima partita, Bobby Fischer mosse col nero. Molti dicono che il suo pedone non avrebbe coperto neppure i pochi centimetri da una casella all’altra se qualche ora prima non lo avesse raggiunto una telefonata di Henry Kissinger, segretario di Stato degli Usa con i presidente Richard Nixon e Gerald Ford, e stratega di tutte le mosse americane nel periodo cruciale della Guerra Fredda, che lo incitava a una patriottica risolutezza contro lo sfidante sovietico Boris Spassky.

Boris Spassky (a sinistra) e Bobby Fischer durante il "match del secolo" del 1972 a Reykjavik.

Molti altri, invece, sostengono che a dare al lunatico Fischer la spinta decisiva verso la scacchiera fu in realtà un’altra telefonata: quella che portava la borsa del “match del secolo”, del campionato mondiale di scacchi, da 125 a 250 mila dollari. Le due tesi, però, sono contraddittorie solo in apparenza. Quegli anni sembrano ormai preistoria ma il confronto tra Usa e Russia era allora al parossismo, si svolgeva su qualunque terreno e aveva un andamento schizofrenico. Le due potenze mostravano un certo desiderio di allentare la tensione, ma a una sola condizione: non cedere nemmeno un millimetro alle ambizioni, concrete o simboliche, dell’avversario.

Per questo anche Kissinger, interprete convinto della Realpolitik e campione della “distensione”, non esitò a spendersi perché il campione Usa infrangesse il monopolio sovietico nel campionato mondiale di scacchi (missione che in effetti Fischer riuscì a compiere, primo e unico). Allo stesso modo in cui si era speso, appena un anno prima, perché la nazionale americana di ping pong, che si trovava in Giappone per il campionato mondiale, accettasse l’invito della Cina e vi si recasse per una breve tourneé. Piccola impresa sportiva che spalancò le porte, e proprio in quel 1972, a una storica visita a Pechino del presidente Nixon. E non possiamo dimenticare, a proposito del rapporto tra politica e sport, che il 1972 è l’anno delle Olimpiadi di Monaco di Baviera e della strage (11 atleti israeliani e 1 poliziotto tedesco) commessa da un commando di terroristi palestinesi di Settembre Nero il 5 settembre, cioè soli 4 giorni dopo la vittoria di Bobby Fischer.

Tutto poteva servire, insomma, sull’asse del confronto tra Mosca e Washington, che diventava confronto globale attraverso la contrapposizione di Alleanza Atlantica (Nato) e Patto di Varsavia e il gioco delle rispettive alleanze. Ecco qualche altro esempio, sempre del 1972: a Mosca lo scrittore Vladimir Bukovskij viene condannato a 7 anni di campo di prigionia per “attività antisovietiche” e il pittore Guttuso riceve il Premio “Lenin” per la Pace. Ma anche: a Mosca, Nixon e Brezhnev firmano il Trattato Salt 1, cioè il primo patto per il controllo e la riduzione delle testate nucleari strategiche.

Intanto stava cambiando il mondo (per dire: a Biella una piccola emittente lancia le prime trasmissioni di una televisione privata in Italia mentre a Seattle, nell’America da noi più lontana, Bill Gates e Paul Allen fondano la Traf-O-Data, poco dopo ribattezzata Microsoft) ma chi allora c’era ricorda benissimo la sensazione diffusa che quella tensione fosse non “un” modo di vivere ma “il” modo di vivere. E che forse, congelato dalla corsa di Usa e Urss alla supremazia nucleare, sarebbe rimasto tale per sempre.

Diverse generazioni sanno ormai che per fortuna la Storia ha preso un’altra strada. Tra il 1972 del braccio di ferro tra Fischer e Spassky e il 1986 dell’elezione di Michail Gorbaciov a segretario generale del Pcus mancavano in fondo solo 14 anni. E proprio a Reykjavik, dove Fischer aveva dato sfogo al proprio talento e ai propri capricci, nel 1986 Gorby avrebbe incontrato Ronald Reagan per mettere fine alla corsa nucleare. Ma questa è, appunto, tutta un’altra storia.

Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 12 luglio 2012

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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