I GIOVANI E LA FAVOLA DEL LAVORO

Continuo a leggere articoli e presunte inchieste sulla disoccupazione giovanile basati su un duplice, e per me ridicolo, assunto: uno, i giovani non hanno spirito di adattamento, sono mentalmente (quando non anche fisicamente) pigri, sono viziati dalle famiglie ecc. ecc.; due, una delle cause della disoccupazione giovanile è la mancanza di spirito imprenditoriale, il desiderio esasperato del posto fisso.

Trovo l’una e l’altra affermazione, appunto, ridicole. Soprattutto se usate per spiegare una crisi, quella dell’occupazione giovanile, che è chiaramente di sistema e che, in quanto tale, non può essere scaricata come una colpa sulle spalle di coloro che ne sono le vittime. Partiamo dal fondo: ma perché “aver voglia di lavorare” dovrebbe equivalere a “aver voglia di fare l’imprenditore”? Chi l’ha detto? Dove sta scritto? Intraprendere è solo una delle forme del lavoro. Magari più difficile, particolare, quel che volete: ma certo non è “la” forma del lavoro, né della voglia di lavorare. Che si vuol dire, che un buon insegnante, un manager efficiente, un giornalista capace, un operaio attento e volonteroso non lavorano? Un chirurgo non lavora se non quando si mette in proprio e apre una clinica privata? Il commerciante, che è appunto un piccolo imprenditore in proprio, è più stimabile del docente universitario?

E questo vale soprattutto in un Paese come l’Italia, che abbonda di partite Iva (il lavoro autonomo per eccellenza, la manifestazione più diffusa dello spirito imprenditoriale), sapendo però che sono in gran parte finte. Sono, cioè, la maniera trovata dalle aziende per esternalizzare, sotto forma di collaborazione, servizi un tempo svolti all’interno; e dai collaboratori per non perdere il contatto lavoratovi con le aziende. Lo ha spiegato con i numeri il Secondo rapporto sulla coesione sociale: il 78% dei professionisti autonomi iscritti alla gestione separata ha un reddito inferiore ai 25.000 euro l’anno. Altro che imprenditori!

E poi la prima questione: i giovani sono pigri, non si adattano ecc. ecc. al di là di un certo razzismo di fondo quando il discorso viene fatto in modo troppo specifico sull’Italia, mi piacerebbe sapere come si spiega questo fatto: la disoccupazione giovanile è a livelli pazzeschi in tutta Europa, compresi i Paesi che sono sempre andati famosi per i loro giovani autonomi, quelli che a 18 anni erano già fuori casa, che s’ingegnavano coi lavoretti e via di figura retorica in iperbole.

Ecco qualche dato di Eurostat, con la fotografia alla fine del 2011:

Ue 27 Paesi: disoccupazione 10,1%; disoccupazione giovanile 22,4%

Spagna: 23,3% e 49,9%

Grecia: 19,9% e 48%

Irlanda: 14,8% e 29,6%

Portogallo: 14,8% e 35,1%

Slovacchia: 13,3% e 36%

Polonia: 10,1% e 27,5%

Francia: 10% e 23,3%

Italia: 9,2% e 31,1%

Regno Unito: 8,4% e 22,3%

Finlandia: 7,5% e 20,1%

Belgio 7,4% e 21,2%

Gli unici Paesi con un rapporto più o meno equilibrato tra disoccupazione generale e disoccupazione giovanile sono Germania (5,8% e 7,8%), Olanda (5% e 9%) e Austria (4% e 8,9%). Quindi i cosiddetti esperti ci spieghino come mai la stessa pigrizia e mancanza di spirito imprenditoriale colpisce i giovani spagnoli come quelli inglesi, i ragazzi finlandesi come quelli irlandesi. Oppure, smettano di dire sciocchezze.

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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