DEBITO E TAGLI, COMMEDIA ALL’ITALIANA

Il premier Monti con Enrico Bondi, commissario del Governo per la Razionalizzazione della spesa.

Fanno bene i sindacati a vigilare e fa benissimo Susanna Camusso a ricordare al premier Monti che c’è una certa differenza, per i cittadini, tra tagliare dieci dirigenti di ministero e dieci infermieri in ospedale. Detto questo, però, non si capisce bene tutto questo stupore ogni volta che il Governo annuncia di voler metter mano alle forbici. Che cosa si dovrebbe fare in un Paese che, come l’Italia, ha accumulato un debito pari al 120% del Prodotto Interno Lordo (per 1 euro che produciamo ne abbiamo 1,20% di debiti) e per di più si è impegnato anni fa, con fior di trattati internazionali, a riportarlo non oltre il 60%?

Il premier Monti con Enrico Bondi, commissario del Governo per la Razionalizzazione della spesa.

Questo discorso del debito agli italiani sembra proprio non entrare in testa, chissà perché. Sognano sempre che ci sia un modo per cavarsela senza soffrire, il che è umano ma futile. Oppure invocano la mitica “crescita” che dovrebbe prodursi da sé, forse a furia di invocazioni, visto che i quattrini per innescarla con investimenti, grandi opere pubbliche, finanziamenti alle aziende non li abbiamo noi (e questo lo sanno tutti) ma non li hanno neppure gli altri: la Francia, tanto per dirne una, ha appena varato un taglio da 10 miliardi entro l’anno alla spesa pubblica. Chi ha i soldi (tipo la Cina, o la Germania) a tutto pensa tranne che a regalarli in giro. E non riescono a capire, nonostante la Merkel glielo spieghi un giorno sì e uno no (mentre altri, dai cinesi ai russi ai Paesi del Nord Europa, tacciono ma acconsentono con lei), che ai debitori inadempienti i soldi non li presta nessuno. E che, dunque, prima metteremo la testa a posto, prima torneremo a godere della fiducia degli altri. Fiducia che serve appunto ad avere il credito che può innescare la crescita.

La fine dell’ultimo Governo Berlusconi, a quanto pare, non ha insegnato nulla. Perché se fosse stato per noi italica gente, il Cavaliere sarebbe ancora lì, al Governo. E’ che tutti gli altri (ricordate, tra gli altri, i risolini di Sarkozy e della Merkel?) non lo sopportavano più, lo volevano fuori dalle scatole. Questo solo per ricordare che viviamo in un mondo in cui ignorare il parere degli altri Paesi, soprattutto se sono più ricchi e forti di te, è ormai diventato impossibile.

Ma c’è un altro fatto su cui troppi sorvolano con leggerezza. Nella trappola del debito sono cascati tutti. Sia i Paesi come Italia e Grecia (ma anche la Francia, sia pure in proporzione inferiore), dove la quota maggiore del debito è il cosiddetto “debito pubblico” (cioè la spesa dello Stato), sia Paesi come Irlanda, Gran Bretagna e Spagna (e in misura minore anche il Portogallo) dove la quota più importante del debito è quella dei privati e delle società.

Com’è possibile? Non ci avevano spiegato, l’ex ministro Tremonti in testa, che il debito pubblico importava poco in un Paese dalla cospicua ricchezza privata? La realtà della crisi, che accomuna i Paesi nel modo appena descritto, ci dimostra che non è affatto così. Che il debito è debito, punto e basta. E infatti: quando a diventare insolventi sono le famiglie e le imprese, prima cala la raccolta fiscale (e quindi lo Stato stenta a far cassa) e poi fanno crac le banche, che non riescono a recuperare i crediti concessi. E questo è il caso Spagna. Risultato: aumento delle tasse, tagli alla spesa pubblica, crollo dei servizi e tutti al soccorso del sistema del credito.

Se invece è lo Stato a correre il rischio di fallire (come in Italia), o fallisce direttamente (come in Grecia), il Governo che fa? Per salvare lo Stato attinge in un modo o nell’altro al risparmio delle famiglie. E che succede? Aumentano le tasse, ci sono tagli alla spesa pubblica, il livello dei servizi crolla e tutti corrono al soccorso del sistema del credito.

Per cui la morale è una sola. Anzi, sono due. La prima: debiti è meglio averne il meno possibile. La seconda: considerare i cittadini cosa “altra” rispetto allo Stato, e viceversa, è una vera sciocchezza.

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

Altri articoli sul tema

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Top