Soldati nigeriani sul luogo di uno degli ultimi attentati.
Con impressionante regolarità, il terrorismo islamico colpisce la domenica dei cristiani della Nigeria. Influisce, ovviamente, la simbologia del giorno festivo ma anche una considerazione di tattica militare: la domenica i cristiani si radunano nelle chiese, diventando un bersaglio più facile per gli attentatori, che puntano appunto a sparare nel mucchio. Questa volta è toccato a cinque chiese nello Stato di Kaduna, nel Nord a maggioranza musulmana, con almeno 10 morti, tra i quali diversi bambini. Ma una settimana fa era stata colpita la città di Jos, con le stesse modalità. E prima ancora altre città e altre chiese.
Soldati nigeriani sul luogo di uno degli ultimi attentati.
Sotto accusa, come sempre, la setta fondamentalista islamica Boko Haram, considerata responsabile dell’uccisione di almeno mille persone, in gran parte civili, dal 2009. Si sa che la setta, negli ultimi tempi, ha assorbito i transfughi di Al Qaeda Maghreb, i miliziani fedeli ai dettami di Osama Bin Laden che dall’Algeria, dove Governo ed esercito hanno fatto terra bruciata, si sono pian piano spostati verso Sud: verso il Mali, dove contribuiscono all’indipendentismo dei tuareg, e appunto verso la Nigeria.
L’offensiva sanguinaria di Boko Haram (che alla lettera significa: “La cultura occidentale è peccato”) è un dato di fatto. Ma di quanto avviene in Nigeria colpisce ormai soprattutto l’inerzia del Governo, e la sua incapacità di mettere almeno un freno alle violenze.
Il Paese è diviso tra una maggioranza di musulmani (50% della popolazione totale) e una minoranza di cristiani così corposa (40%) da non poter nemmeno essere considerata minoranza. Da anni, però, cresce e si diffonde tra i musulmani un movimento che chiede l’applicazione della shari’a, cioè della legge islamica. Boko Haram fonda la propria propaganda proprio su questo terreno, che peraltro ha già fondamento nell’ordinamento giuridico della nazione: dei 36 Stati che compongono la Nigeria, già 12 hanno adottato la shari’a, 9 a pieno titolo e altri 3 solo per le aree a maggioranza islamica.
I cristiani sono così stretti tra l’incudine di un movimento che finirebbe per discriminarli e il martello di un terrorismo a sfondo religioso che non trova argine. Prima potenza petrolifera dell’Africa, sesta potenza petrolifera del mondo e uno dei Paesi più corrotti del pianeta, la Nigeria deve ormai affrontare uno spettro se possibile anche peggiore di quello del terrorismo: lo spettro della guerra civile.
Dopo le stragi nelle chiese, i cristiani dello Stato di Kaduna, esasperati dall’ennesima ondata di violenze, hanno deciso di reagire. Hanno formato dei posti di blocco, hanno fermato le automobili guidate da musulmani e hanno ucciso i passeggeri. Una vendetta quasi inevitabile, vista la debolezza del Governo e l’inefficienza delle forze di sicurezza. Destinata però a favorire i piani, e la propaganda, di Boko Haram. Ma se il meccanismo “attacco-reazione” dovesse diffondersi, gli scontri non farebbero che moltiplicarsi, fino a rendere ipotizzabile la divisione del Paese tra un Nord musulmano e un Sud cristiano.
Una possibilità solo teorica, perché quanto a gas e petrolio (che procurano allo Stato il 95% delle esportazioni e l’80% degli introiti) la parte ricca è il Sud cristiano, mentre nel Nord musulmano è più ampia la disoccupazione che, su scala nazionale, ammonta al 21% della popolazione in età da lavoro. La partizione del Paese aprirebbe la strada a violenze anche maggiori o, nel più benevolo degli scenari, a una guerra a basso regime ma continua come quella che tormenta i rapporti tra Sudan e Sud Sudan. La Nigeria, insomma, è affacciata sul disastro. E il suo Governo pare del tutto inadeguato.