IN CASA DI OBAMA UN G8 SENZA PUTIN

Barack Obama con Vladimir Putin.

Il terzo mandato presidenziale di Vladimir Putin è cominciato con uno sgarbo a Barack Obama, padrone di casa e ospite del G8 di Camp David. L’assenza si nota ed è aggravata dal fatto che per la Russia è invece presente Dmitrij Medvedev, fino a qualche giorno fa presidente della Federazione russa, ora primo ministro nominato da Putin che fino a qualche giorno fa era il “suo” primo ministro… Un gioco di poltrone e di specchi, insomma, che molto contrasta con la sacralità di cui gli americani avvolgono l’istituzione presidenziale.

Barack Obama con Vladimir Putin.

Uno sgarbo, ma non una crisi. O meglio: uno dei tanti colpi che Usa e Russia si scambiano, sopra e sotto la cintura, da un bel pezzo. Per restare agli ultimi tempi, basta pensare alla Libia (attaccata dagli Usa contro il parere della Russia, che in Libia aveva pure una base navale) e alla Siria, dove Russia e Cina offrono una sponda diplomatica all’agonizzante e screditato regime di Assad.

Putin e Obama in questa rissa c’entrano poco. Usa e Russia sono destinati a confrontarsi. Glielo impongono i tempi e la situazione. Gli Usa sono ancora la prima potenza ma non non sono più l’unica potenza. C’è la Cina, a cui poco importa dei principi e molto delle materie prime: i cinesi vanno dove ci sono petrolio, gas, prodotti agricoli e minerali utili a nutrire lo sviluppo economico del Paese. Ci sono l’India e il Brasile, l’Iran e il Venezuela. Nessuno di questi Paesi può paragonarsi agli Usa, ma ognuno di loro ha eroso un pezzo o pezzetto dell’enorme margine di manovra di cui disponevano gli Usa. D’altra parte, ci sarà pure una ragione se appena un mese dopo questo G8 americano si terrà un G20 in Messico.

Quindi gli Usa devono almeno tentare di bloccare lo smottamento della loro sfera d’influenza. E poi c’è la Russia, che ha un’esigenza identica anche se di segno opposto: provare a ricostruire almeno parte della propria sfera d’influenza, quella che una volta veniva definito sovestskoe prostranstvo (spazio sovietico). Per ragioni storiche (la Russia è sempre stata un impero), culturali e soprattutto economiche. Il commercio di gas e petrolio è decisivo per il destino dei russi. Così, se la Russia non può fare nulla, a parte intrattenere buone relazioni con l’Iran, per intaccare il monopolio politico americano sui Paesi del Golfo Persico, può però fare molto per controllare, indirizzare e gestire le enormi risorse che giacciono non solo nel suo territorio, ma anche in quello dei Paesi nati dallo scioglimento dell’Urss, Kazakhstan, Turkmenistan e Kirgizistan per primi.

Di tutta l’era Bush, la cosa che la Russia ha più patito non è stata la guerra contro l’Iraq ma la realizzazione dell’oleodotto che corre da Baku (Azerbaigian) a Tbilisi (Georgia) a Ceyhan (Turchia). Una ferita economica insanabile, almeno finché in Azerbaigian, Georgia e Turchia resistono regimi molto amici o non ostili agli Usa. Una cicatrice spirituale dura da nascondere per un Paese che ha fatto due guerre per conservare a sé la Cecenia e il Caucaso.

Allo stesso modo oggi la Russia teme lo “scudo stellare” che gli Usa vogliono installare tra Polonia e Repubblica Ceca: perché è un vulnus portato in quell’area in cui il Cremlino non tollera interferenze, uno spazio in cui qualunque intrusione è vista come un’aggressione. Gli Usa dicono che lo “scudo” servirà a proteggere l’Europa da ogni eventuale attacco missilistico portato dall’Iran, e naturalmente è una gran balla: non c’è ragione per cui l’Iran debba attaccare l’Europa, essendo già sulla lista nera degli Usa e di Israele.

Lo “scudo” non indebolirà le difese strategiche della Russia, come dicono a Mosca. Lo farebbe se la Russia avesse intenzione di bombardare l’Europa occidentale, o se l’Europa avesse intenzione di minacciare la Russia, e non è così. Ma se fosse realizzato, dimostrerebbe che altri possono fare ciò che vogliono sulla porta di casa sua. E questo non può essere accettato. Guarda caso, i presidenti e i primi ministri che hanno accettato l’invito di Obama, finito il G8 resteranno in America per il vertice Nato che dovrà annunciare i primi provvedimenti operativi per la costruzione dello scudo.

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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