UCRAINA, BOMBE SUL PAESE DIVISO

I soccorsi ai feriti a Dnepropetrovsk.

Trovare un senso agli attentati che hanno scosso Dnepropetrovsk e hanno provocato una trentina di feriti, tra i quali molti bambini, allo stato dei fatti è un’impresa impossibile. In mancanza di tracce e persino di indizi, tutte le tesi hanno dignità e tutte le ipotesi sembrano possibili. Il Governo parla di terroristi che vogliono minacciare il Paese che tra poco ospiterà i campionati europei di calcio, l’opposizione dice che le bombe sono state fatte esplodere dallo stesso Governo, per distogliere l’attenzione dallo “scandalo Tymoshenko”, l’ex pasionaria della rivoluzione Arancione ed ex premier finita in carcere dopo un processo sommario. La bionda Julija ha denunciato di essere stata aggredita in carcere e ha iniziato uno sciopero della fame, il che ha scatenato la protesta dei suoi sostenitori che da giorni occupano il Parlamento, a Kiev, con l’appoggio di una quarantina di deputati.

I soccorsi ai feriti a Dnepropetrovsk.

Entrambe le tesi, però, paiono fragili, se non proprio insostenibili. Quale Governo, per distogliere i riflettori dalla Tymoshenko, attirerebbe l’attenzione del mondo sul fatto che l’Ucraina, alla vigilia degli Europei di calcio (in programma dall’8 giugno al 1 luglio in condominio con la Polonia), è un Paese dove possono esplodere bombe per strada? D’altra parte, di quali terroristi parla il Governo? Quali nemici internazionali può avere, oggi, l’Ucraina?

Non ci aiutano nemmeno ulteriori considerazioni “ambientali”. Dnepropetrovsk è un grosso centro della zona Est dell’Ucraina, quella dove più numerosi sono i cittadini di origine russa, quindi quella più filo-russa. La regione che più massicciamente ha votato, alle elezioni presidenziali del 2010, per quel Viktor Janukovic che ora parla di terroristi. Dnepropetrovsk, d’altra parte, è anche la città in cui nel 1960 nacque proprio la Tymoshenko, che in quel grosso centro industriale fece gli studi in Ingegneria e compì i primi passi di una carriera folgorante, prima nell’industria di Stato e poi in politica.

Se poi restiamo al prossimo appuntamento calcistico, dobbiamo allora notare che a Dnepropetrovsk non si giocherà. La sede più vicina sarà Donetsk, a quasi 200 chilometri. Una bomba resta una bomba, e l’immagine dell’Ucraina è comunque rovinata. Ma non si può dire che questo sia stato un attentato contro gli Europei.

Una manifestazione di sostegno alla Tymoshenko.

Le autorità garantiscono indagini serrate e rapide risposte, una promessa che difficilmente potranno mantenere. Nulla si è saputo, per fare un esempio, della bomba che nel novembre scorso, sempre a Dnepropetrovsk, ha ucciso un imprenditore: omicidio di mafia primo segnale di terrorismo? Ma alla fin fine, le tensioni che scuotono l’Ucraina, sia quelle che restano confinate allo scontro politico sia quelle che invadono la cronaca criminale, hanno tutte un’unica origine: la profonda e radicata divisione del Paese. A Ovest l’agricoltura, il turismo e i servizi, l’aspirazione a legarsi all’Europa e agli Usa, la passione per la lingua ucraina e per l’indipendenza, gli uniati e l’ebraismo e la Chiesa ortodossa autocefala; a Est l’industria pesante e le miniere, il cordone ombelicale con la Russia, una forte quota di popolazione russofona, la Chiesa ortodossa fedele a quella di Mosca.

Tradotta in politica, questa storica incrinatura è diventata a fasi alterne, dopo la fine dell’Urss, una tendenza ad affrancarsi dalla sudditanza verso la Russia portata fino alle soglie del conflitto alternata al suo esatto opposto, un’alleanza con la Russia portata fino alle soglie della sudditanza. La Tymoshenko, eroina della cosiddetta Rivoluzione Arancione, ha interpretato benissimo la prima tendenza. Al netto delle divisioni interne e degli scandali, però, il suo periodo al potere ha mostrato che “contro” la Russia (a cui l’Ucraina deve il 95% dei rifornimenti di gas e petrolio e il 25% dello scambio commerciale) è difficilissimo governare l’Ucraina. Mentre Janukovic, interprete della seconda tendenza, sta verificando che altrettanto complicato è governare l’Ucraina contro quegli ucraini che, nel ricordo dell’Urss e nell’orgoglio per la propria identità nazionale, di Russia non vogliono sentir parlare.

Nell’ardua conciliazione di questi due opposti giace, purtroppo, il futuro del Paese. E infatti il presente, come si vede, resta piuttosto travagliato.

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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