MALI, TRA I TUAREG IL CONTAGIO AL QAEDA

L'ingresso dei ribelli tuareg a Timbuktu (Mali).

L’onda lunga dei sussulti del Maghreb non cessa di produrre effetti. Ora tocca al Mali, uno dei Paesi più a Ovest della fascia del Sahel (oltre c’è solo il Senegal) e anche uno di quelli più investiti dalla combinazione di militarismo, estremismo islamico e ribellismo etnico che tanti conflitti sta provocando in Africa.

L'ingresso dei ribelli tuareg a Timbuktu (Mali).

Repubblica parlamentare dal 1992, il Mali ha avuto come Presidente dal 2002 fino a pochi giorni fa Amadou Toumani Toure, un ex generale bene accetto all’esercito e appoggiato dagli Usa, che hanno regolarmente fornito istruttori militari, attrezzature e armi. Il 22 marzo, però, Toure è stato deposto, paradossalmente, da un golpe militare guidato da un semplice capitano, Amadou Sanogo: i soldari ribelli imputavano al loro ex collega la pessima gestione delle forze armate (sottopagate e disorganizzate) e la disastrosa gestione del conflitto con i ribelli del Nord, i tuareg del Movimento di liberazione dell’Azawad, la regione settentrionale che vorrebbero indipendente.

Le rivolte del Maghreb entrano in tutto questo perché dalla fine degli anni Novanta, cioè da quando la loro ultima ribellione era stata stroncata, migliaia di tuareg maliani avevano trovato rifugio nella Libia del colonnello Gheddafi, che li appoggiava e proteggeva. Caduto il Rais, i tuareg non hanno potuto fare altro che tornare in patria e riaccendere la lotta secessionista. In meno di tre mesi, quindi, e approfittando dell’incertezza del Governo centrale dopo il golpe militare, hanno costretto l’esercito regolare a ripiegare, conquistando sempre più terreno. L’avanzata, negli ultimi giorni, è diventata quasi una corsa: venerdì i tuareg hanno conquistato Kidal, sabato Gao (l’una e l’altra capitali regionali), oggi l’antichissima Timbuktu, il centro più a Sud dell’area chiamata appunto Azawad.

Ma non c’è solo la spinta dei reduci della Libia dietro l’improvvisa conquista. Da molti mesi, la fascia del Sahel è diventata terreno di transito e di riassetto dei movimenti che si riconoscono nella guerra islamista di Al Qaeda e che più a Nord, in particolare in Algeria, hanno subito sanguinosi rovesci. In questa specie di transumanza del terrore, i terroristi islamisti hanno unito le loro forze a quelle dei movimenti armati attivi nei diversi Paesi: Boko Haram in Nigeria (dove, non a caso, le stragi sono diventate più crudeli e frequenti) e appunto i tuareg nel Mali.

A sinistra: il capitano Amadou Sanogo, leader dei militari golpisti.

Anche il fronte tuareg, comunque, è diviso. Il grosso della militanza punta soprattutto all’indipendenza dell’Azawad, alla costruzione di uno Stato autonomo sull’esempio del Sud Sudan o, almeno, a ritagliarsi il controllo di una porzione di territorio com’è riuscito al Fronte Polisario nel deserto del Marocco. Ma c’è un’altra ala, minoritaria ma molto agguerrita, che si batte per gli ideali dell’islamismo più radicale e chiede l’applicazione della shari’a (la legge islamica) in tutto il Paese. Proprio ciò che chiede Boko Haram in Nigeria. La guida  Iyad Ag Ghali, che tra il 1990 e il 1995 fu il leader della rivolta tuareg e da tempo ha affiliato il proprio gruppo all’Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico).

Una miscela dirompente (colpo di Stato militare, rivolta etnica, islamismo), che infatti preoccupa molto i Paesi confinanti. L’Ecowas, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, che comprende tra gli altri Nigeria, Niger, Senegal, Ghana e appunto il Mali, ha già minacciato il blocco delle frontiere e di tutte le transazioni economiche se il governo di Amadou Toumani Toure non sarà riportato al potere. Poiché il Mali importata tutte le risorse energetiche di cui ha bisogno, il blocco farebbe fermare il Paese in pochi giorni. Ma si capisce bene che il vero spettro, per tutti quei Paesi, non è la disgrazia del Mali ma l’ipotesi che lo stesso meccanismo possa scattare anche a casa loro.

 

 

 

 

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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