BIRMANIA, PROVE DI DEMOCRAZIA (FORSE)

Una venditrice di magliette che inneggiano ad Aung Sang Suu Kyi.

DI MARTA FRANCESCHINI – In Myanmar si vota per una manciata di seggi. 45 per l’esattezza, meno del 7% sul totale delle poltrone del parlamento. Eppure, sono elezioni storiche quelle del prossimo primo aprile, per un paese come l’ex-Birmania che sembra avviarsi verso il processo democratico dopo 50 anni di dittature militari. Concorrono per quei 45 seggi 176 candidati per 17 partiti politici. Ma la super-favorita è naturalmente Aung San Suu Kyi, la sessataseienne premio Nobel per la pace, recentemente tornata in liberta’ dopo 20 anni di arresti domiciliari.

Una venditrice di magliette che inneggiano ad Aung San Suu Kyi.

Speranza e scetticismo convivono in questa attesissima vigilia elettorale. E’ innegabile che l’attuale presidenteThein Sein, ex miltare che ha rinunciato alla divisa nel 2010, abbia dimostrato segni tangibili di apertura: primo fra tutti la liberazione di Suu Kyi, insieme a qualche centinaia di altri detenuti politici; poi queste elezioni, con l’invito di un centinaio di giornalisti stranieri come osservatori. Tuttavia, molte sono le irregolarità riscontrate durante la campagnia elettorale, come nominativi di persone decedute inseriti nelle liste, o altri misteriosamente cancellati. Numerose anche le denunce di intimidazioni e violenze, un pò in tutto il Paese.

Lo stesso discorso televisivo della leader del partito NLD (Lega Nazionale per la Democrazia), “Madre Sue”, come viene chiamata Suu Kyi dai suoi adoranti sostenitori, è stato censurato dal governo in carica. “Non ci aspettiamo che queste elezioni siano giuste e libere” ha dichiarato ai giornalisti Somsri Hananuntasuk,capo della Rete Asiatica per la Libertà Elettorale, nella capitale Yangon come osservatrice esterna. “Ci basterebbe che fossero elezioni credibili. Il Paese si sta aprendo poco per volta. Ci sono problemi, ma ci sono anche progressi”.

Peccato che la signora Somsri, insieme ad altri due stranieri della sua associazione, abbia trovato poi ad attenderla in albergo 10 ufficiali dell’immigrazione che, gentilmente, ma fermamente, li hanno accompagnati all’aeroporto come presenze indesiderate nel Paese. Segnali non troppo promettenti per il futuro di Myanmar.

In chiusura della campagna elettorale, comunque, Aung San Suu Kyi ha rivolto pesanti accuse al Governo in carica, definendo l’attuale processo elettorale “inaccettabile per un sistema democratico”. Sarebbero troppe le irregolarità e gli abusi perpetrati a danno del suo partito. Solo a Kawhmu, la città dove la leader è candidata, piu’ di 1000 sono gli aventi diritto al voto che mancano dalle liste. “Tuttavia”, ha concluso Suu Khy, “dal momento che crediamo nella riconciliazione nazionale, cercheremo di tollerare quello che è accaduto. Perché speriamo che il coraggio e la determinazione del popolo siano più forti di qualunque intimidazione e sopruso”.

Thein Sein, ex generale, presidente di Myanmar (ex Birmania).

Domani, dunque, l’ex-Birmania va alle urne per la contesa di 45 seggi sui 664 del parlamento, il 25% dei quali è tuttora riservato ai militari. Ma sono molti gli osservatori, dentro e fuori dal Paese, che non credono alla buona fede del Governo del presidente Thein Sein. Si teme che il vero obbiettivo dietro alle riforme degli ultimi sei mesi sia ottenere la revoca delle sanzioni internazionali, che permetterebbe a Thein Sein di allentare la stretta dipendenza che lega il Paese alla Cina.

“Il Governo vuole Aung San Suu Kyi in parlamento per risolvere i suoi problemi di credibilità nazionale” spiega Thiha Saw, direttore del settimanle Open News, “Non è vero che la amano come vorrebbero dare ad intendere: in verità, hanno solo bisogno di lei”.

Anche Aung Zaw, giornalista in esilio da oltre 20 anni, la pensa allo stesso modo. “Ho visitato recentemente il Paese”, racconta, “e ho incontrato davvero molto, molto scetticismo sulla buona fede del Governo. Chi parla, comunica e legge nella nostra lingua, sa come stanno le cose e non si fa ingannare dalle apparenze”. Riuscirà il premio Nobel per la pace a non farsi manipolare dai disegni occulti del potere? E’ questa la speranza dei suoi elettori.

di Marta Franceschini

Fulvio Scaglione

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

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