Tra sparare su un peschereccio e respingere un attacco di pirati c’è una grossa differenza. Anche se nel Golfo del Bengala, dove incrociava il mercantile italiano “Enrica Lexie” al momento del drammatico incidente in cui sono morti due indiani, non è così facile distinguere. Solo un paio di settimane fa, il 28 gennaio, una banda di 11 pirati originari del Bangladesh ha attaccato in quelle acque un gruppo di pescherecci indiani, uccidendo tre marinai e sequestrandone 14 prima di essere a loro volta catturati. I pirati erano riusciti ad avvicinarsi proprio perché la loro imbarcazione si “presentava” come una delle tante che inseguono i branchi di tonni.
Queste sono ore confuse. E’ difficile capire se i soldati italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, sbarcati di propria volontà dalla “Enrica Lexie” nel porto di Kochi, siano in stato d’arresto. Difficilissimo appurare se davvero, come sostengono i nostri, il peschereccio indiano si fosse avvicinato con manovre ostili. E quasi impossibile immaginare come si risolverà la disputa tra la posizione dell’Italia (la nave era in acque internazionali, quindi la giurisdizione spetta alle autorità del Paese di bandiera, in questo caso appunto l’Italia) e quella dell’India, che sostiene la tesi della reazione violenta e ingiustificata. Bisogna quindi avere fiducia nell’operato dei nostri militari, che sono da anni impegnati in tante parti del mondo e certo non si segnalano per un grilletto troppo facile.
Ma mentre i diplomatici si spiegano e trattano, è inevitabile cogliere il messaggio che, nemmeno tanto sottilmente, l’atteggiamento delle autorità indiane prova a mandarci. L’India è uno dei Paesi del Bric (con Brasile, Russia e Cina), cioè una delle economie emergenti a livello globale. Nel 2010, in piena recessione planetaria, è cresciuta dell’8% e il suo Prodotto Interno Lordo è oggi il quarto del mondo. A dispetto dei tanti problemi irrisolti (il 20% della popolazione vive ancora sotto la soglia della povertà, e la corruzione della pubblica amministrazione è sempre rampante), è un Paese dotato della bomba atomica e, per il biennio 2011-2012, occupa un seggio di membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
L’India di oggi, insomma, si sente forte, protagonista. E vuole che questo status le sia riconosciuto. Un incidente come quello della “Enrica Lexie” pare fatto apposta per stimolare il suo nazionalismo e la voglia, ancora fortissima, di riscattare un passato fatto prima di sottomissione coloniale e poi di un limbo internazionale ben rappresentato dalla stagione dei “non allineati”. Non si tratta di avercela con l’Italia (le relazioni bilaterali, pur migliorabili, sono cordiali e proficue: l’interscambio commerciale è salito nel 2010 a 7,2 miliardi di euro e le esportazioni italiane in India sono cresciute del 23%) ma di far capire a tutti che il Terzo Mondo non c’è più. Almeno non da quelle parti. E se poi la grinta sfoggiata in questo caso serve a far dimenticare per qualche giorno gli scandali governativi che affossano le riforme, meglio ancora.
Bisognerà dunque usare una giusta miscela di fermezza e prudenza. Le autorità indiane vorranno soprattutto pubblica soddisfazione, e poi lasceranno perdere un braccio di ferro che, al di là del lutto per le vittime, ha poco senso. Tutti, invece, farebbero bene a interrogarsi sul contrasto alla pirateria. Gli indiani perché non riescono a studiare strategie efficaci nei mari di casa, tormentati dalle incursioni criminali. Gli italiani perché mettere i soldati sulle navi, come deciso di recente, non è in assoluto garanzia di buoni risultati rispetto a un fenomeno di cui abbiamo scarsa esperienza diretta.
Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 20 febbraio 2012